THE FAREWELL - UNA BUGIA BUONA

Billi Wang è nata a Pechino ma vive a New York da quando aveva sei anni. Il suo contatto sentimentale con la Cina è Nai Nai, la sua vecchia nonna, ancorata alle tradizioni e alla famiglia. Salda e praticamente indistruttibile, a Nai Nai viene diagnosticato un cancro. La famiglia decide di nasconderle la verità e di trascorrere con lei gli ultimi mesi che le restano da vivere. Figli e nipoti, traslocati negli anni in America e in Giappone, rientrano in Cina per riabbracciarla e per 'improvvisare' un matrimonio che allontani qualsiasi sospetto. Risoluti e uniti nella bugia, trovano in Billi una resistenza. Inconcludente nella vita e insoddisfatta della vita, Billi vorrebbe liberarsi dell'angoscia e rivelare alla nonna la prognosi infausta. Tra oriente e occidente, troverà una sintesi tra due culture e due condotte etiche.

2019
USA, Cina
Commedia
Lulu Wang
Zhao Shuzhen, Awkwafina, X Mayo, Hong Lu, Kong Lin, Tzi Ma, Diana Lin, Gil Perez-Abraham, Ines Laimins, Jim Liu
98min
3,90


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Una bugia buona al centro di un film emozionante

Un'aria 'familiare', il ritorno di una cultura rimossa (nelle forme di una famiglia amata) che produce un quieto terremoto e lascia dietro di sé un nuovo e fertile squilibrio. Conciliata commedia di confronto etnico, The Farewell - Una bugia buona muove dall'America verso la Cina, riscaldando il folclore in un viaggio verso le origini. La diaspora della famiglia Wang, divisa tra Stati Uniti e Giappone, rientra e stringe i suoi 'esuli' al capezzale di una nonna malata. Ed è il protocollo etico-normativo 'della cura', basato in Cina sul "principio della beneficialità" (nell'interesse del paziente in certe circostanze è meglio tacere la verità), il nodo da sciogliere di un racconto che assume in pieno il modello della commedia familiare con la circolazione sentimentale tra i personaggi e il disegno delle loro vite private.

Ed è qui che si gioca la novità, l'audacia e la singolare tenerezza di The Farewell, una commedia sorprendente non per il soggetto ma per il tono. Se lo sfondo dell'incontro-scontro tra culture è sovente il disagio, Lulu Wang sceglie la serenità risolta ma non semplificata del rapporto tra prole espatriata e matriarca 'radicata', che ha accettato il destino (straniero) dei propri figli ma non transige sulla Tradizione.

Lontano dal dramma quanto dalla parodia, The Farewell è una scelta di campo che pesca nella biografia dell'autrice e afferma un nuovo discorso. Il suo punto di osservazione e di ascolto è Billie, quello di attrazione è Nai Nai, ex combattente che chissà quante cose ha visto accadere, che ha capito quasi certamente tutto prima degli altri e prima degli altri ha accettato.


"Il film di fatto racconta la storia della mia famiglia - ha raccontato Lulu Wang a Roma - mentre scrivevo la sceneggiatura ho riflettuto se fosse necessario drammatizzare alcuni aspetti di questa vicenda, ma poi ho scelto di raccontarla come era andata. Ho pensato che fosse più interessante interrogarsi sul fatto se in questo caso dire la verità sarebbe stato un atto di egoismo e una vero diritto di mia nonna".

Nel riportare la sua esperienza sul grande schermo, diversi sono stati gli inganni creativi con cui Lulu Wang si è cimentata, sebbene molti degli eventi mostrati durante la pellicola sono reali. Ad esempio, in casi così gravi, questo tipo di manipolazione non si rivela una pratica comune solo in Cina, ma anche protetta sotto un aspetto legale. Negli Stati Uniti, invece, è impossibile per un medico nascondere le condizioni di un paziente, cosa che vediamo avvenire in The Farewell – Una bugia buona, con un dottore che prescrive false terapie a Nai Nai. La cultura cinese crede fermamente che la salute mentale ed emotiva costituisca un legame diretto con la salute fisica, il che viene esplicitato nel film dalla frase “Le persone non muoiono di cancro, muoiono di paura”.

Qui potete vedere la video intervista a Lulu Wang:


Lulu Wang: «Io, The Farewell e il cinema come appartenenza»

LA STRUTTURA «Nell’approcciarmi alla sceneggiatura volevo discostarmi dalla struttura tipica di una dramedy e approfondire la lotta tra il desiderio di Billie di rilevare il segreto a sua nonna e rispettare la volontà della famiglia. E ho pensato che se il climax non era la rilevazione, la bugia sarebbe diventata una distrazione. Per me c’era un carico emotivo più grande scegliendo questo approccio. Inoltre volevo rimanere fedele a quello che è realmente accaduto. Questa bugia mi disturbava e ho seguito la realtà dei fatti aggiungendo solo qualche dettaglio. Quel viaggio emotivo e la sensazione di dover dire addio ad una persona amata, però, sono autentici».

LE TRADIZIONI «Volevo esplorare i sentimenti di qualcuno che ritorna e cerca la proprie radici e mostrare che, in realtà, è un pesce fuori d’acqua. Molte persone che tornano nel proprio Paese d’origine si rendono conto che non appartengono più a quel luogo. Quando cerchi la tua infanzia, ti rendi conto che non c’è più. Tutti sono cambiati e lo sei anche tu. Billie va in Cina convinta di dover dire addio a sua nonna ma, in realtà, sta anche dicendo addio a se stessa. Trovo molto interessante che le tradizioni cinesi, e più in generale ogni tipo di tradizione, siano molto più seguite e sentite da chi da quel Paese è emigrato rispetto a chi ci vive. Oggi molti cinesi si sposano in chiesa con l’abito bianco anche se non sono cattolici, chi è emigrato invece sceglie gli abiti e i riti tradizionali. In ogni città ci sono delle Chinatown ricreate dalle persone che hanno nostalgia della loro casa».

L’APPARTENENZA «A sei anni mi sono trasferita con i mei genitori dalla Cina all’America. Non sentivo mai un’appartenenza, mi trovavo sempre a disagio. Poi ho capito che potevo appartenere ad ogni luogo e ispirarmi a tutti quei cineasti che si muovono tra mondi diversi. Ad esempio tra i registi o i film che mi hanno influenzata per The Farewell ci sono Roy Andersson, Mike Leigh, Forza Maggiore, Federico Fellini e Kore-Eda. Ma sono anche cresciuta con Woody Allen e Alexander Payne: sono parte della mia voce, qualcosa a cui non posso sfuggire».

NAI NAI «Nai Nai? Si basa su mia nonna. Conoscevo le sue dinamiche, non ho avuto bisogno di sforzarmi per creare il personaggio. L’attrice che la interpreta, Zhao Shuzhen, è il suo contrario. Sul set del suo ultimo film la chiamavano “micina” per il suo temperamento dolce e all’inizio si è trovata a disagio a doverla interpretare. A fine riprese, invece, mi ha detto: “Sono così triste all’idea di doverla lasciare, mi ha dato così tanta forza”».

LE RIPRESE «È stata un’esperienza intensa quella di girare in Cina, con tutta la mia famiglia e addirittura sulla vera tomba di mio nonno. Ma, al tempo stesso, è stato anche molto spirituale. È stato il mio modo di rendere omaggio alla mia famiglia. Mio nonno voleva diventare uno scrittore ma non ci è riuscito. Molti suoi amici m hanno detto che sto realizzando il suo desiderio».

AWKWAFINA «Anche lei non tornava in Cina da molti anni. È crescita senza genitori: sua madre è morta quando era piccola e suo padre non è mai stato molto presente. La sua guida era la nonna paterna. Parlando degli attori che interpretavano sua madre e suo padre: “Questi sono i genitori che non ho mai avuto”. È stato un percorso molto emotivo ed è riuscita ad esprimere tutto il disagio, il dolore e l’isolamento di Billi».

LA FAMIGLIA «La reazione dei miei genitori? Sono molto sorpresi dal successo del film. Una volta finita gli ho fatto leggere la sceneggiatura e gli ho chiesto un parere. Mio padre mi ha detto: “È tutto molto autentico ma perché mai dovrebbe interessare a qualcuno?”. Tutti nella mia famiglia pensavano sarebbe stato un filmetto e non s’immaginavano che avrebbe avuto una tale risposta universale. Per loro è strano vedere tutta questa commozione per una reale emozione della nostra famiglia».