Teheran, 1978: Marjane, otto anni, sogna di essere un profeta che salverà il mondo. Educata da genitori molto moderni e particolarmente legata a sua nonna, segue con trepidazione gli avvenimenti che porteranno alla Rivoluzione e provocheranno la caduta dello Scià.
Con l'instaurazione della Repubblica islamica inizia il periodo dei "pasdaran" che controllano i comportamenti e i costumi dei cittadini. Marjane, che deve portare il velo, diventa rivoluzionaria.
La guerra contro l'Iraq provoca bombardamenti, privazioni e la sparizione di parenti. La repressione interna diventa ogni giorno più dura e i genitori di Marjane decidono di mandarla a studiare in Austria per proteggerla.
A Vienna, Marjane vive a 14 anni la sua seconda "rivoluzione": l'adolescenza, la libertà, l'amore ma anche l'esilio, la solitudine, la diversità.
La storia già la conosciamo: c’è un dittatore o una guida religiosa, un manipolo di estremisti, una pletora di leccapiedi spaventati e poi ci sono loro, le donne, strumento e fine di ogni rivoluzione, perché, si sa, il cambiamento non può ignorare la sua componente femminile. Così, in Persepolis, le donne sono il motore di una palese involuzione, dove la vera rivoluzione sta nel guadagnare qualche centimetro di capelli sporgenti dal maghnaeh che possa rivelare l’attaccatura.
Per Satrapi, figlia di una famiglia progressista e nipote di una donna simbolo concreto di emancipazione femminile, opposto a quello propinato dai religiosi, quel lungo velo nero dimostra tutto il suo insostenibile peso quando verrà fermata da due donne, guardiane della rivoluzione, perché indossa una giacca di jeans e scarpe alla moda. Una donna che si mette contro un’altra donna: è in quel momento che Satrapi capisce che la rivoluzione nera ha vinto davvero.
Oltre a meritare un Premio della Giuria, questo raro film d'animazione al femminile fu uno degli eventi di Cannes 2007. È la trasposizione di una graphic novel autobiografica di Marjane Satrapi (1969). Cresciuta nell'Iran degli ayatollah e poi esule in Francia, la Satrapi vi racconta un ventennio della propria vita, dalla caduta di Reza Pahlevi ai primi anni '90, che si svolge in un regime inaccettabile soprattutto per una donna. Per chi conosce il romanzo a fumetti (pubblicato anche in Italia), la fedeltà grafica del cartoon è evidente. I due registi hanno rifiutato quasi interamente il colore a favore di un BN che, insieme, è soggettivo e infantile, in linea con una stilizzazione realistica di tradizione persiana. La dialettica interna tra un romanzo di formazione di una bambina e poi adolescente e la memoria collettiva di una nazione si colora nel film di un'autoironia leggera, priva di rivendicazioni sociopolitiche esplicite. Persepolis "dice quel che un'intera generazione di cineasti non ha mai saputo dire e far vedere fino in fondo: cosa significa essere donna in Iran" (M. Fadda). Voci, nella versione italiana, di: Paola Cortellesi (Marji), Licia Maglietta (sua madre), Sergio Castellitto (suo padre), Miranda Bonansea (la nonna), Angelica Bolognesi (Marji bambina).
Sono rari i film di animazione in grado di far percepire al pubblico le difficoltà dell'esistenza di chi li ha ideati. Spesso impegno in difesa dei diritti e qualità grafica non convivono. In questo caso il connubio è perfettamente riuscito. Marjane Satrapi è riuscita a trasformare i quattro volumi di fumetti in cui raccontava, con dolore e ironia, la propria crescita come donna in un Iran in repentina trasformazione e in un'Europa incapace di accogliere veramente il diverso, in un lungometraggio di animazione di qualità.
Ha anche un altro merito che le va attribuito: è riuscita a sfuggire alle sirene hollywoodiane che la volevano sedurre con la proposta di film in cui Jennifer Lopez sarebbe divenuta sua madre e Brad Pitt suo padre. Ha tenuto duro e ne è nata un'opera in bianco e nero (con lampi di colore) capace di raccontare un'infanzia e un'adolescenza al femminile comune e differente al contempo. Comune perchè tante giovani donne si potranno ritrovare nel suo percorso di crescita. Differente perchè la donna in Iran è (per chi ha dettato e detta le leggi) meno donna. Per una volta ci venga concessa una citazione diretta: vedere questa giovane regista non riuscire più a trattenere le lacrime nel corso di una standing ovation durata 15 minuti a Cannes dava la misura della difficoltà di una vita ma anche della necessità di non dimenticare lo springsteeniano "No retreat no surrender".
La Marjane del film è anche un'adolescente qualunque che si lascia conquistare dal sentimento radioso dell'innamoramento e poi sprofonda in una forte delusione per una storia d'amore conclusa male: una giovane ragazza in cui tante giovani donne si potranno immedesimare. Persepolis, infatti, pur raccontando di terre lontane, unisce spettatori e personaggi e li rende protagonisti di un sentire comune. La stessa Satrapi riconosce che il film può avere un valore educativo nella funzione di far avvicinare le culture. Lei stessa ammette: si è raggiunto un obiettivo se il pubblico occidentale intende il film come la storia di uomini iraniani ovvero come la storia di persone come loro, piuttosto che un film incentrato su concetti astratti come il fondamentalismo islamico o la lotta tra il bene e il male. Persepolis non è quindi un film politicamente orientato con un messaggio da vendere. È, più semplicemente, un film dedicato all'amore che la sceneggiatrice nutre verso la sua famiglia.
Nel film la giovane Marji nasce e cresce nell’Iran degli anni ’70. All’epoca il paese è guidato dallo Scià di Persia, Mohammad Reza Pahlavi, il cui governo è schierato al di qua della cortina di ferro.
Perciò, alla dittatura il sovrano accompagna una forte spinta di rinnovamento culturale, che bene accoglie nel paese i simboli dell’occidente. Per dirne una, all’inizio del film la piccola Maji è una fan sfegatata di Bruce Lee; figura sì, orientale, ma come è noto, in quel periodo molto popolare negli Stati Uniti.
Come in ogni rivoluzione, ad un periodo di iniziale libertà dalle maglie del regime precedente ne segue presto uno nuovo, tre volte più brutale e repressivo. Marji e la sua famiglia devono presto adeguarsi al nuovo clima. Viene proibito bere alcolici, fare festa, e, ci siamo arrivati, ascoltare musica occidentale. Queste sono infatti tutte usanze dell’occidente capitalista e decadente, da evitare.
Ma Marji è una ragazzina tenace. Ben lungi dal rassegnarsi, anche grazie allo spirito combattivo ereditato dal padre e dallo zio, Marji esibisce i simboli della controcultura occidentale, che nel suo contesto di vita diventano veri espedienti di sfida al regime. Il punk rock e l’heavy metal, che la ragazza ascolta ed alla cui moda si ispira, sono per lei miraggi di una libertà a lungo cercata. Il suo carattere irrequieto trova sfogo proprio nella musica, il mondo nella quale ella può sfuggire dalle atrocità quotidiane.
Marji deve infatti assistere a morte e distruzione, compresa la guerra tra Iran e Iraq (1980-88), nonchè sopportare repressione e regole assurdamente ferree. In un mondo di restrizioni e proibizioni, che includono il famoso velo (che la ragazza non sopporta), la musica viene venduta per strada, come una merce di contrabbando, da veri e propri “spacciatori”. Questi figuri sussurrano ai passanti: “Stevie Wonder, Julio Iglesias, Pink Floyd, Michael Jackson (che viene chiamato “Jickael Mackson”)” ed “Iron Maiden“. In classe, poi, Marji e le sue amiche fanno confronti tra i Bee Gees e gli Abba.
Non è solo voglia di progresso, non è solo bisogno di imitazione. Proprio il fatto che questa musica sia proibita, letteralmente, la rende tanto importante e tanto efficace quando viene infine consumata. Molti di voi avranno ascoltato gli Iron Maiden da adolescenti, sfogando magari in quei momenti rabbia e paura. Bene, immaginatevi di averli ascoltati in un paese in cui era vietato farlo.
Questo grande significato, questa magia che circonda la musica e il rock and roll, va a perdersi quando Marji si trasferisce a Vienna, ancora adolescente. Lì la ragazza incontra adolescenti capricciosi e annoiati, che si vestono da punk/goth, predicano il nichilismo e presenziano ai concerti hardcore punk. Pur tentando di integrarsi, e riuscendoci anche, Marji intuisce che non potrà mai essere come loro. Per loro la musica è uno sfogo, sì, ma di tutt’altra natura.
Tornata in Iran e caduta in depressione, Marji decide infine di riprendersi sulle note della famosa Eye of the Tiger dei Survivor. Canzone che, potremmo dire, “qui da noi” è con gli anni diventata sinonimo di ridicolo. Forse la ragazza lo sa, tanto che nel film la sentiamo cantare il pezzo, stonandolo, con la sua stessa voce (il doppiaggio è di Chiara Mastroianni).
Il punto è che non conta che la canzone venga eseguita bene; conta ciò che essa rappresenta per una ragazza iraniana che lotta per la propria libertà. Ed in Persepolis la lotta è sul serio; non come gli occidentali che sono già liberi ma fingono di non esserlo solo per dare sapore alla vita.