STEVE MCQUEEN: UNA VITA SPERICOLATA

Si può evadere in molti modi e con ogni mezzo da un'infanzia di disaffezione e abbandono sopportata nella profonda provincia americana. Steve McQueen si rimise al suo istinto e montò su un'automobile in corsa. Sull'età ribelle da scavezzacollo costruirono poi la sua mitologia ma a guardarlo bene e più da presso, come hanno fatto John McKenna e Gabriel Clarke, la sua apparente nonchalance dissimulava una profonda afflizione.
Nondimeno l'immaturità mai risolta e l'evidente difficoltà ad assumersi la responsabilità di una vita adulta restano la spina dorsale della sua leggenda e della sua popolarità. In barba a registi e produttori, cercava e otteneva sempre ruoli a sua immagine, personaggi che potesse agevolmente 'occupare'. Inadeguati, irresponsabili e abitati dal furore di vivere, i suoi anti-eroi cadevano, si rialzavano e infilavano grandi fughe, entusiasmando lo spettatore. Quello che sognava di diventare un giorno Steve McQueen.

2015
USA
DOCUMENTARIO
JOHN MCKENNA
Steve McQueen, Chad McQueen, John Sturges, Neile Adams, Lee H. Katzin, Alan Trustman.
01:52
3,90

3


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«Quando uno corre, vive. E tutto quello che fa primo o dopo è solo attesa».
Steve McQueen

La vera storia di una passione che cambia la vita

Lo chiamavano The King of Cool, come dire, “Il più fico di tutti” e in effetti era un soprannome azzeccato: a 35 anni dalla morte, il 7 novembre 1980, Steve McQueen non ha perso un briciolo di fascino. Come Marilyn, come Audrey, è un’icona del cinema e dello stile. Gran seduttore di donne senza troppa fatica («gli si buttavano letteralmente addosso», raccontano i suoi amici di allora) gradissimo appassionato di corse e motori, pilota in diverse gare

Realizzato con la collaborazione di suo figlio Chad , a sua volta attore e pilota, ripercorre la lavorazione di Le 24 ore di Le Mans, il film interpretato e fortemente voluto da McQueen su una delle gare automobilistiche più famose e dure del mondo. Attraverso interviste ad amici, familiari, collaboratori e a filmati d’epoca (molto materiale è inedito), si racconta il rapporto dell’attore con il lavoro, le donne, i figli, i motori, le corse, la vita. Racconta Chad: «Non mi ero reso conto completamente di quanto mio padre fosse infedele. Sapevo che era un bugiardo, ma tutte quelle ragazze… Io e mia sorella eravamo al riparo dai problemi dei miei genitori, la vita filava via liscia per noi. Quando si separarono lui mi chiese: con chi vuoi stare, con me o con la mamma? Gli risposi: io sto con l’azionista, papà, scelgo te. Sono rimasto con lui fino alla sua morte, in Messico».

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L'’uomo spericolato che sfrecciava nella vita

Nel maggio del 1970, Steve McQueen volò in Francia per cominciare a lavorare al film che significava per lui molto di più di qualunque altra pellicola che aveva girato. Gli anni ’60 erano stati la sua epoca d’oro. McQueen si era fatto conoscere nel classico western I magnifici sette prima di recitare ne La Grande Fuga, film di guerra che aveva riscosso un grandissimo successo al box office. Aveva poi conquistato la critica nel blockbuster romantico Il Caso Thomas Crown, prima di incarnare il perfetto poliziotto anticonformista in Bullitt, pellicola che rese gli inseguimenti automobilistici un classico del cinema.

McQueen era un attore all’apice del successo, incuteva rispetto ed esercitava il suo potere sugli altri. La sua società di produzione, la Solar Productions, aveva firmato un accordo per la realizzazione di sei pellicole con la Cinema Center Films. Steve aveva la possibilità di lavorare per se stesso, scegliere i progetti che preferiva e trarne i profitti. Finalmente aveva l’opportunità di realizzare il film su quella che era stata la sua passione per gran parte di un decennio: l’automobilismo.

Per Steve McQueen, le corse rappresentavano molto di più di un hobby: per lui le corse rappresentavano una forma d’arte. Negli anni Sessanta, l’attore era diventato un vero e proprio pilota automobilistico, dotato di talento. La velocità rappresentava una dipendenza ed una via di fuga per l’attore. Sin dal 1962, McQueen aveva esternato la sua volontà di realizzare un film che riuscisse, per la prima volta nella storia del cinema, a rendere appieno la velocità, il pericolo e la bellezza dello sport che tanto amava.

Voleva catturare la pura essenza di questo sport, e l’attrattiva che esercita sullo spirito umano. Nel 1970, la 24 Ore di Le Mans, conosciuta in tutto il mondo, era il test più grande delle abilità di un pilota. Questa gara sarebbe stata l’ispirazione e l’ambientazione della visione di McQueen. E lui non sarebbe stato semplicemente la star del film; sarebbe stato anche l’autore, la forza motrice del progetto.

Per la star ed il suo film non si sarebbe badato a spese, così la Cinema Center Films investì un budget di 6 milioni di dollari. Il leggendario regista John Sturges avrebbe diretto la pellicola. Bob Relyea, partner negli affari e grande amico di McQueen, sarebbe stato a capo della produzione. McQueen avrebbe alloggiato in un castello del quattordicesimo secolo. Oltre ad un gruppo di lavoro formato da tecnici e da meccanici d’élite provenienti da tutto il mondo, al film avrebbero partecipato 45 tra i più famosi piloti dell’epoca.

Al centro della visione unica di McQueen c’era l’autenticità. Voleva catturare il vero pericolo, e l’essenza più profonda dell’automobilismo su pista. Per raggiungere questo scopo, McQueen richiedeva che i piloti corressero alla velocità che avrebbero fatto registrare in gara, giorno dopo giorno. Steve aborriva i progressi più recenti in merito a rallenty ed effetti speciali, e non voleva sentire parlare di trame romantiche.

Ma alla fine Le 24 Ore di Le Mans, tra problemi di produzione e accese discussioni, fu un fiasco. Clarke e McKenna ci raccontano così come una delle star del cinema più carismatiche di tutti i tempi finì per perdere quasi tutto ciò che aveva per cercare di realizzare il suo sogno più recondito. Attraverso filmati del dietro le quinte della pellicola e interviste a membri del cast e della famiglia – tra cui spiccano il figlio di McQueen, Chad, e Derek Bell, i due registi ricostruiscono i mesi che avrebbero determinato una svolta drammatica nella vita dell’attore, sia dal punto di vista professionale che privato.

Tra filmati d’archivio e interviste, questo film nel film ci mostra la vita spericolata di un uomo che sfrecciò confondendo la finzione con la realtà dell’autodromo e compone il ritratto di una persona lanciata a tutta velocità nell’esistenza e nell’arte. Clarke e McKenna  hanno scoperto oltre tre ore e mezzo di girato filmato sul set nel 1970, una sorta di dietro le quinte del progetto che era rimasto nascosto in scantinati e garage in Europa e negli Stati Uniti per quattro decenni. È da qui che è nato questo docufilm che racconta quei sei mesi che gli cambiarono la vita: “rievocando un’epoca speciale e portando alla luce una storia altrettanto unica per la prima volta, crediamo che il nostro film ridefinirà il mito dello Steve McQueen icona del cinema, e mostrerà un lato inedito del McQueen regista visionario” spiegano i due registi.

Dopo la fine delle riprese del film (diretto da Lee H. Katzin), Steve McQueen non partecipò più a corse automobilistiche. Voltò le spalle allo sport che era stato il suo primo amore. McQueen tornò ai fasti del passato recitando in Papillon, pellicola che ricevette il plauso della critica. L’enorme successo riscosso al box office all’inizio degli anni Settanta da Getaway! L’inferno di Cristallo fece sì che McQueen non dovesse più avere preoccupazioni a livello economico. Ma divenne sempre più solitario.

La passione di Steve McQueen per il mondo del cinema non fu più la stessa dopo la débâcle de Le 24 Ore di Le Mans. Il film, tuttavia, ha superato la prova del tempo, diventando un cult. Nel mondo di oggi, in cui gli effetti speciali la fanno da padroni, Le 24 Ore di Le Mans è considerato il film sul mondo dell’automobilismo su pista più realistico che possa mai essere realizzato sul tema.

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The Man e Le Mans

Steve McQueen aveva un sogno: girare il film definitivo sulle corse automobilistiche, il più realistico, il più coinvolgente. Come avrebbe potuto immaginare che la lavorazione de Le 24 ore di Le Mans gli sarebbe costata così tanto, in termini artistici, economici e umani? Tra divergenze con la troupe, problemi con la sceneggiatura, incidenti e tradimenti, i registi Gabriel Clarke e John McKenna costruiscono – sul filo delle testimonianze di Chad McQueen, figlio di Steve, e degli altri protagonisti di quella storica avventura cinematografica – un film nel film sul circuito dove l’icona della vita spericolata sfrecciò confondendo la finzione con la realtà dell’autodromo. E compongono il ritratto di un uomo lanciato a tutta velocità nell’esistenza e nell’arte.Steve McQueen aveva un sogno: girare il film definitivo sulle corse automobilistiche, il più realistico, il più coinvolgente. Come avrebbe potuto immaginare che la lavorazione de Le 24 ore di Le Mans gli sarebbe costata così tanto, in termini artistici, economici e umani? Tra divergenze con la troupe, problemi con la sceneggiatura, incidenti e tradimenti, i registi Gabriel Clarke e John McKenna costruiscono – sul filo delle testimonianze di Chad McQueen, figlio di Steve, e degli altri protagonisti di quella storica avventura cinematografica – un film nel film sul circuito dove l’icona della vita spericolata sfrecciò confondendo la finzione con la realtà dell’autodromo. E compongono il ritratto di un uomo lanciato a tutta velocità nell’esistenza e nell’arte.

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Una vita spericolata intorno alla passione per la velocità

Per capire pienamente Vita spericolata di Vasco Rossi va guardato anche questo documentario, c’è poco da fare. “Una vita esagerata come quella di Steve McQueen”, “piena di guai”, “come le star”. E poi ognuno a rincorrerli quei guai. Il giovane Vasco, cresciuto con quell’icona attraversando gli anni Sessanta, Settanta e Ottanta, di fronte al King of Cool era come i fan di oggi ai suoi concerti. O almeno l’ammirazione per il suo idolo era la stessa che un paio di generazioni di ragazzi italiani hanno coltivato intorno al rocker di Zocca.

Una vita alla massima velocità quella di McQueen. Le gare automobilistiche e motociclistiche tra un film e l’altro, una passione che gli portò anche il tumore da amianto per le tute utilizzate negli anni. Irrequietezza e fame di vittoria, l’acceleratore schiacciato anche contro il sistema delle major, una serie di donne sfilate velocemente nel suo letto quando non nella sua roulotte, la leggenda dei suoi film dove azione, fascino e spensieratezza erano da antologia. McQueen è stato questo e molto altro. Le 24 ore di Le Mans fu summa e culmine di vita e carriera dell’attore di Beach Groove. Per lui doveva essere il film definitivo sull’automobilismo. Non fu un grande successo quando uscì nel 1971 un po’ perché era un indipendente osteggiato dai giganti di Hollywood, un po’ perché forse il pubblico non era ancora completamente pronto a quella lungimiranza cinematografica, ma incastonò definitivamente nel mito McQueen come attore, pilota, catastrofico produttore. E soprattutto come sognatore senza eguali.

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Chad McQueen

«La mia vita spericolata con papà Steve»

Chad McQueen porta ancora addosso i segni dell’incidente del 2006 alla 24 ore di Daytona. Non toglie mai gli occhiali scuri, si muove lentamente, ha cicatrici su braccia e polpacci: la parte a vista di fratture (alle costole, a una gamba) e di lesioni a due vertebre. Da Karate Kid in poi ha lavorato in 26 film ma è soprattutto la passione per le auto da corsa che ha ereditato da suo padre. Quando parla di lui si sente ancora un affetto enorme, come se fosse scomparso ieri. Invece il 7 novembre saranno passati 35 anni, ricordati da un documentario che uscirà al cinema due giorni prima: Steve McQueen. Una vita spericolata.

Fu un disastro, in sala. E anche la critica lo accolse male. McQueen rischiò la bancarotta. Ma oggi è considerato uno dei film sul mondo delle corse più adrenalinici mai realizzati. Rievocarne la storia è anche una scusa per raccontare, con interviste di oggi e filmati di allora, un’icona del Novecento. «Il mio documentario è stato presentatao al Festival di Cannes e per me è un po’ una vendetta» racconta Chad. «Nessuno dei suoi film era mai stato al festival; e quando Le Mans uscì, mio padre fu messo in croce. Invece la sua visione era giusta, con quel realismo meticoloso: aveva voluto girare tutto in velocità, con le cineprese montate su una delle Porsche in gara».

Che cosa ricorda di quei tre mesi con suo padre a Le Mans?
Stare in mezzo a tutte quelle auto era emozionante. Una volta convinsi papà a farmene guidare una. Sulle sue ginocchia, su quel circuito, si immagina? Ingranai fino alla terza… Ci sono ritornato l’anno scorso per la prima volta. Avevo dieci anni, nel 1970: solo nel 1999, quando uscì French Kiss with Death, il libro di Michael Keyser e Jonathan Williams (ex piloti, ndr) scoprii davvero ogni dettaglio del disastro che il film fu per papà.

Ha scoperto altro che non sapeva?
Non mi ero reso conto completamente di quanto mio padre fosse infedele. Sapevo che era un bugiardo, ma tutte quelle ragazze… Io e mia sorella eravamo al riparo dai problemi dei miei genitori, la vita filava via liscia per noi.

Loro invece si separarono durante l’estate di Le Mans. Com’è stata la relazione con suo padre, dopo?
Mi chiese: con chi vuoi stare, con me o con la mamma? Gli risposi: io sto con l’azionista, papà, scelgo te. Sono rimasto con lui fino alla sua morte, in Messico.

Si diceva che avesse un brutto carattere.
Vero, ma sotto la pelle c’era molto di più. A volte perdeva la pazienza ma era leale; le parole che mi ripeteva più spesso erano onestà e integrità. Aveva avuto un’infanzia complicata: non ha mai conosciuto suo padre, sua madre era un’alcolizzata che lo ha praticamente abbandonato, è cresciuto in un istituto. Di questa infanzia infelice abbiamo benificiato io e mia sorella: da quando sono nato a quando lui è morto sono stato su tutti i suoi set; in ogni location cercava una scuola, siamo stati tra i banchi di ogni parte del mondo.

Vita da favola per un ragazzino.
Abbastanza. Mi ricordo tutte quelle Ferrari nel giardino di casa, e James Coburn, Charles Bronson, George Harrison, Ringo Starr…

Quante auto ha?
Non saprei esattamente. Mi piacciono le vecchie Porsche: mi diverto a pulirle, lucidarle, aggiustarle; e le moto. Ho cominciato con quelle, ho partecipato a gare in tutto il mondo.

Aveva paura, quando correva?
Mai. Però la cosa triste è che, dopo l’incidente, al volante sono diventato una vecchia signora. Sono pieno di metallo (indica tutto il corpo, ndr), ho quattordici viti, non posso permettermi errori. Me la prendo comoda su Mulholland Drive (una
famosa strada di Los Angeles, ndr) con la mia Porsche.

Parla solo di Porsche. Non le piacciono le Ferrari?
Certo! Per me è come parlare della Chiesa… Sono stato a vedere la fabbrica un paio d’anni fa. Luca di Montezemolo mi ha fatto da guida dappertutto.

A un certo punto suo padre stava pensando di lasciare il cinema per dedicarsi alle corse a tempo pieno. Amava più le auto del suo lavoro?
Amava tantissimo anche quello. Era felice sul set. Sembrava che non facesse nulla davanti alla cinepresa, ma il risultato era fantastico.

Per il cinema era un mito già allora, per lei bambino che cos’era?
Per me restava soprattutto mio padre. Mi rendevo conto di quel che era solo in parte.

Vede qualche attore che gli somiglia?
Io no. Lei ne vede?

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