CHRISTO - WALKING ON WATER

Come si crea un camminamento di tre chilometri che galleggia sull’acqua? E, soprattutto, come può nascere un’idea così ambiziosa? Se a pensarla e, dopo più quarant’anni, realizzarla è Christo, allora non è più un’utopia, ma un’opera che si può attivare. Christo – Walking on water, il film di Andrey Paounov, racconta, nei dettagli più vivi, l’intero processo che ha portato allo sviluppo dell’opera d’arte – e di ingegneria – The Floating Piers realizzata nel giugno 2016 sul Lago d’Iseo. Non è semplice narrare la processualità di un evento di tale portata: un’operazione di arte contemporanea costata anni di pensiero, di germinazione e di lavoro da parte di una grande squadra che ha avuto luce per la prima e unica volta – le opere di Christo e della moglie Jeanne Claude, mancata nel 2009, sono uniche e non vengono mai ripetute – in Italia nel giugno 2016.

2018
USA, Italia
Documentario
Andrey Paounov

100min
3,90


TRAILER


ACQUISTA

Valuta:

Fotogallery
La nascita di The Floating Piers

Nella primavera del 2014, l’artista di fama mondiale, Christo, e il suo team hanno iniziato a cercare un luogo per la sua nuova grande opera d’arte pubblica: The Floating Piers. Scelsero alla fine il Lago d’Iseo, luogo piccolo e tranquillo tra il Lago di Como e il Lago di Garda. Christo e sua moglie Jeanne-Claude hanno elaborato per la prima volta l’idea del progetto nel 1970 e hanno in seguito tentato di realizzarlo in Argentina e in Giappone. Questa è stata per lui la prima grossa installazione dai tempi di The Gates a Central Park nel 2005 e da quando sua moglie è scomparsa. L’entusiasmo delle autorità locali italiane si è rapidamente diffuso e Christo e il suo team hanno deciso di costruire il suo progetto più ambizioso fino ad oggi: una passerella lunga 3 chilometri che per un periodo di 16 giorni permetteva alle persone di camminare tranquillamente sull’acqua.

Andrey Paoinov racconta…

Sono sempre stato affascinato dalla visione intransigente di Christo e Jeanne-Claude su come l’arte dovrebbe essere concepita, finanziata e prodotta – in totale indipendenza e con il solo scopo di ricercare la gioia e la bellezza delle cose. Per Christo l’arte è un processo, non un risultato finaleThe Floating Piers è la ciliegina sulla torta, ma la vera eccitazione viene dall’immaginare le possibilità, superare la burocrazia, domare le forze della natura. Il titolo del film, Chisto – Walking on Water ha un doppio significato. È un riferimento all’esperienza offerta da The Floating Piers, ma rappresenta anche il mio obiettivo finale: realizzare un film che possa offrire a ogni spettatore l’opportunità di camminare sulle orme di Christo e della sua creazione“.

LINK ALL'ARTICOLO COMPLETO

CHRISTO E L’INVENZIONE DELLA LAND ART

Christo è il nome con cui sono conosciuti Christo Yavachev e Jeanne Claude Denat de Guillebon, due artisti immigrati a Parigi (lui dalla Bulgaria e lei da Tunisi) che hanno reso celebre la  Land Art, una corrente artistica nata nella seconda metà del ‘900. Questo movimento ha visto diversi artisti esprimersi con un intervento diretto sul territorio, mirato a mutare il paesaggio naturale. Un esempio contemporaneo (anche se sono state pensate come semplici “quartieri del divertimento”) sono le Palm Islands di Dubai, le due isole artificiali che sono state costruite nel golfo Persico.

Nonostante gli esempi di Land Art siano moltissimi, le opere che hanno avuto più successo e hanno resistito all’avanzare del tempo sono sicuramente quelle dei Christo. Basti pensare alla Porta Pinciana “imballata” a Roma negli anni ’70 o al Reichstag impacchettato nel 1995; interventi monumentali, costosi, temporanei e apparentemente senza senso.

Se vi siete mai chiesti perché la coppia si divertisse a “imballare” i monumenti, sappiate che la risposta non vi soddisferà. Nelle prime scene di Christo – Walking on Water, infatti, il protagonista del documentario (Christo Yavachev continua a lavorare da solo dalla morte di Jeanne Claude nel 2009) afferma: “Le nostre opere non servono a niente. Sono inutili. Esistono solo perché a me e Jeanne Claude piace vederle.”

LINK ALL'ARTICOLO COMPLETO

L'intervista

Perché ha scelto il Lago d’Iseo come destinazione finale di Floating Piers, un progetto nato quasi cinquant’anni fa? Aveva già un legame personale con questo luogo?
Non saprei dire se questo posto mi sia familiare, ma dal ’58 al ’64 io Jeanne-Claude abbiamo vissuto a Parigi, e in quel periodo avevamo molte attività in Italia, come mostre in galleria e opere pubbliche. Abbiamo lavorato a Spoleto nel 1968, a Milano nel 1970 e a Roma nel 1974. Conosco bene tutto il nord Italia, compreso il Lago di Iseo.

Cosa vi ha spinto a filmare l’intera realizzazione di Floating Piers, dalla fase progettuale alla sua costruzione?
Tutti i nostri lavori fatti fin ora – 23 in cinquant’anni – sono temporanei, esistono solo per un breve periodo, quindi siamo sempre stati molto attenti a documentarli. Abbiamo fatto pubblicazioni speciali, cataloghi ma anche filmati, perciò questa volta abbiamo voluto iniziare le riprese prima che il progetto fosse cominciato. Ci siamo ritrovati con tantissime ore di registrazione accumulate in due anni di lavoro. Dal materiale selezionato è venuto fuori il film.

Christo – Walking on Water, mostra chiaramente come ogni fase di un progetto così complesso comporti difficoltà e problemi da risolvere. Ma c’è un passaggio, uno dei più emozionanti, in cui, in mezzo al Lago d’Iseo, ha visto il ponte prendere forma, comprendendo che l’installazione stava realmente funzionando. Come si è sentito?
Sai, ogni cosa di quello che faccio è sempre qualcosa di nuovo e cerco sempre di viverlo al massimo, sperando venga fuori al meglio. Poi, come si sa, il lavoro non viene realizzato da me, ma da un team incredibile di professionisti, tra ingegneri, sub, piloti, operai, e noi dobbiamo coordinare i lavori facendo in modo che tutto fili liscio.

Ci spieghi meglio.
Ovviamente è una grande soddisfazione quando il progetto prende forma e vedo quei piccoli disegni tracciati anni prima diventare realtà. Quando si comincia non si sa come andranno fatte le cose, lo si scopre passo a passo. I miei lavori non sono normali dipinti o sculture, non è l’arte che si vede nei musei, sono operazioni che hanno a che fare con l’architettura, l’urbanistica, che spesso avranno un impatto sulla folla cittadina. Viste le sue dimensioni, è un lavoro che non può essere inventato, bisogna solo crederci!

Floating Piers è finito per diventare un evento popolare, con oltre 1,2 milioni di visitatori in pochi giorni. Si sarebbe mai aspettato un simile esito negli anni ’70, quando ha concepito questo progetto?
Io non mi aspetto mai niente! È sempre difficile fare delle previsioni. Tutti i progetti sono pensati per spazi pubblici, vissuti da chiunque passi di lì. Ci sono diverse logistiche da gestire, come il flusso di persone e di materiali. Nel corso del tempo abbiamo realizzato progetti in spazi aperti o deserti, come la campagna, ma Floating Piers decisamente non era posto in uno spazio facile, partiva da piccoli paesi come Montisola.

Nel film si vede chiaramente come queste ristrettezze di spazio vi abbiano causato problemi logistici.
Non è stato facile per via delle infrastrutture, della folla di persone che doveva passare per queste strade strette… Dovevamo risolvere questo problema e sapevamo che anche questo faceva parte della gestione del nostro progetto. Abbiamo cercato di adottare ogni soluzione per creare una mobilità, per adattare questo enorme flusso di visitatori che non ci aspettavamo, e tutto questo è ben documentato nel film.

Parlando della sua vita, lei ha vissuto in due mondi estremamente diversi, prima il regime comunista in Bulgaria e poi il capitalismo dell’occidente in Europa e America. Cosa ha significato questo passaggio per la sua vita e la sua carriera?
Sono nato nel 1935 in un paese comunista estremamente oppressivo della Bulgaria, per poi scappare in occidente da solo, vivendo da rifugiato politico, perché volevo fare l’artista o l’architetto. Sono scappato per dar vita alla mia arte individuale. Ho fatto tutto questo per essere totalmente libero. Totalmente libero! Non volevo essere legato a niente e a nessuno. Sono stato educato dal marxismo e ho usato il sistema capitalistico per guadagnarmi la libertà.

Ci parli del modo in cui questi progetti sono finanziati.
Mi sono sempre auto finanziato le opere vendendo i disegni dei progetti fatti a mano da me, non ho mai avuto nessun assistente. Faccio tutto da solo. Con i soldi posso fare quello che voglio, non ho committenti. Sono io a gestirli, è la mia libertà. Questo è il motivo per cui non ho mai pensato a premi, fondazioni, grants.

E quali sono i costi da sostenere?
Quando noi facciamo un progetto affittiamo uno spazio pubblico, com’è successo al Lago di Iseo. Nel 2005 abbiamo affittato il Central Park di New York per tre mesi, spendendo 3 milioni di dollari. Per realizzare i progetti, ingaggiamo dei professionisti estremamente qualificati e molto costosi. Ma il gioco del capitalismo consiste in questo, comprarsi la propria libertà per non dover scendere a nessun compromesso né avere committenti. Questo è il motivo per cui negli ultimi 50 anni, abbiamo realizzato 23 progetti ma abbiamo chiesto i permessi per 47, che fa capire quanti ce ne siano ancora da realizzare.

Effettivamente è un rapporto impressionante.
Parla con un architetto, quante case ha realizzato? Sicuramente molte meno di quelle che ha progettato. Il costo complessivo della realizzazione delle opere è altissimo, ecco perché il prezzo dei miei disegni è così elevato. Ne faccio un numero limitato prima di iniziare il progetto, e a mano a mano che vengono venduti i prezzi salgono. Ho tante gallerie, art dealer pubblici e privati, ma non ho né esclusività né legami particolari con nessuno di loro.

Qual è il bello del gioco, quindi?
Non c’è nulla di nascosto, questo è ciò che mi piace fare, mi fa sentire bene mentalmente e fisicamente. Mi imbatto in avventure incredibili, qualcosa che non vivrò mai più. Ogni progetto costituisce un viaggio della mia vita, qualcosa di indimenticabile. Ecco perché la libertà è per me la cosa più importante.

Parliamo di uno dei prossimi progetti, The Mastaba for Abu Dhabi.
Del mio lavoro la parte più difficile sono i permessi. È difficile ottenerli, proprio per questo gli interventi non durano mai per lungo tempo. Anche The Mastaba è stato concepito negli anni ’70, ed è sempre la stessa storia: lavoriamo simultaneamente su più progetti sperando che almeno uno riesca ad ottenere le autorizzazioni per essere realizzato. Mi piace il modo in cui finisce il film, con una scena ad Abu Dhabi, perché dimostra come lavoriamo su progetti differenti allo stesso momento, riuscendo a realizzare qualcosa iniziato molto tempo fa.

A proposito di questa città, Abu Dhabi sta provando a costruirsi una reputazione nel panorama artistico contemporaneo puntando su grandi nomi della scena architettonica e su “operazioni” che sono sfociate in scandali, come il caso Salvator Mundi. Qual è la sua opinione in merito? Considera ancora Abu Dhabi come la meta ideale della sua opera?
Certamente. Anche se sono al centro degli scandali, noi lavoreremo al progetto in modo indipendente, non siamo stati invitati dal Governo. Come sempre sono i miei soldi, farò tutto da solo. Abbiamo fatto tanti progetti in paesi diversi, ognuno di questi alle prese con problemi e scandali, ma noi non abbiamo mai avuto nessuna relazione con nessun governo, se non per chiedere le autorizzazioni.

Come vive il fatto che ogni progetto possa avere ogni volta una location diversa, a seconda del paese che accetterà di ospitarla?
Una volta che si realizza un progetto rimane quello anche se si cambia paese. Ognuno di essi ha una lunga storia e io non cambio nessun dettaglio nel corso degli anni. Per Floating Piers, ad esempio, avevamo chiesto l’autorizzazione all’Argentina e al Giappone, che ce l’hanno rifiutata.

Sarà così anche per l’Arco di Trionfo di Parigi, previsto per il 2020?
È sempre la stessa storia! Era l’inizio degli anni ’60 quando ho chiesto la prima autorizzazione per impacchettare un monumento pubblico a Parigi. Finora è stato tra i 47 progetti mai realizzati; non avrei mai creduto che sarebbe successo, ma invece è successo. Il mondo è cambiato e il presidente, che ha uno spirito più visionario, ha rilasciato le autorizzazioni dopo solo due riunioni. I progetti nel tempo crescono, anche quando sono ancora solo idee nella mente delle persone.

– Giulia Ronchi

LINK ALL'ARTICOLO COMPLETO

Le burrasche, l’arte, la riflessione

In occasione dell’anteprima italiana tenutasi a Bologna nell’ambito del quindicesimo Biografilm Festival, abbiamo chiesto al regista Andrey M Paounov se per scegliere le scene adatte a raccontare la preparazione di The Floating Piers si sia ispirato ai film di guerra, in particolare nella rappresentazione di Christo, che come Nelson a Trafalgar solcava il lago d’Iseo per coordinare l’allestimento di una delle opere che ha inseguito per tantissimi anni. E sì, l’ispirazione, ci ha detto, è stata proprio quella, perché per lui quest’opera ha avuto più a che fare con la guerra che con l’arte, ed è facile capirne i motivi, grazie a un documentario che è solo apparentemente il racconto di un evento, quando è invece il ritratto di un gigante minuto, burrascoso, autoironico e fin ingenuo come un bambino: Christo, che voleva camminare sulle acque e ci è riuscito, ma senza la sua amata Jeanne-Claude. Di seguito la recensione di Christo – Walking on Water.

700 ore di girato che, condensate, raccontano preparazione, realizzazione e chiusura di un pezzo di land art tra i più grandi e contestati di sempre. Uno sguardo capace di esaltare non solo il grande artista – depositario di valori antichi fatti di vera materia, vera aria, quelle real things che si oppongono al mondo virtuale – ma anche i suoi assistenti, sempre presenti al suo fianco, pronti a contrastarlo dove necessario, a calmarlo e gioire con lui, quasi fosse un bambino entusiasta e lunatico. In particolare è Vladimir Yavachev, peraltro nipote di Christo stesso, a sembrare nato per stare davanti a una macchina da presa e diventare subito un punto di riferimento per lo spettatore. Come lo sono le musiche di Saunder Jurriaans e Danny Bensi, capaci di accrescere il piacere della visione al punto da entrare immediatamente nelle mire delle playlist più rilassanti in circolazione.

Dunque un film fortunato, che ha trovato nel gruppo ristretto dei suoi protagonisti quasi tutto ciò che gli serviva per funzionare, ampiamente aiutato dai momenti fortuiti, dagli imprevisti, dalla macchinosa burocrazia italiana, dalle false carinerie interessate di ricchi finanziatori e ammiratori arricchiti, accorsi al party di inaugurazione quasi a riassemblare il cast de La grande bellezza, in questo caso ancora più incisivo perché completamente reale. E in mezzo a tutto questo, il sorriso di un uomo felice di vedere la sua immaginazione prendere forma, dopo aver tentato di realizzarla prima in Argentina e poi in Giappone, senza ottenere mai i permessi. Una storia d’amore, in un certo senso, anche se non rappresentata direttamente su schermo, perché in ogni gesto di Christo è presente Jeanne-Claude, l’amata compagna di mille avventure scomparsa nel 2009.

Un documentario che ci aiuterà a capire molti problemi dell’arte ai tempi del digitale e degli smartphone, per riappropriarsi il prima possibile della riflessione, degli affetti veri, delle esperienze vere, dei sogni che si realizzano ancora nella realtà.

Una cura per l’anima, non perdetelo.

LINK ALL'ARTICOLO COMPLETO


In quei sedici giorni di attivazione dell’opera, giornate di cambiamenti climatici repentini, di acqua, di vento, di sole, di caos, il grande lavoro è stato fotografato da centinaia di migliaia di persone: personaggi dell’arte e utenti curiosi che hanno fatto ore di coda per vivere l’esperienza di camminare sull’acqua.

Il film è accurato e importante anche per le immagini di grande impatto – visioni dall’alto, dalla città o dal lago stesso - spesso toccanti, della messa in posa di un’opera costituita da 220 mila cubi in plastica assemblati da altrettanti viti giganti e ricoperti di tessuto arancione… quell’arancione ormai sedimentato nella memoria di tutti. L’opera è stata fotografata, ripresa in tutti i telegiornali, raccontata da testimoni. Per la prima volta l’arte contemporanea ha attivato le coscienze e gli animi di tanti. Christo, pare ironico, ha fatto camminare la gente sulle acque, realizzando un grande pensiero che, con Jean Claude, progettava dagli anni Settanta.

“Tutti i nostri progetti sono opere d’arte. E sono del tutto inutili. Esistono solo perché a me e Jeanne-Claude piaceva guardarli e realizzarli.” Questo è l’incipit di una presentazione a New York di Christo prima di iniziare a lavorare sul progetto in Italia. “Camminerete letteralmente per tre chilometri sull’acqua”. “Out of the world”, una cosa “fuori dal mondo”. E il filmato segue, tra i dettagli quotidiani più umani di un’instancabile personaggio, a quelli operativi dove l’artista, insieme al suo affiatato team, risolve le problematiche che un’opera di tale dimensione e responsabilità sociale comporta, fino alle liti con Vladimir, suo assistente e risolutore… mostrando allo spettatore che un’opera d’arte non nasce dal nulla, ma subisce e attiva processi importanti che coinvolgono migliaia di persone, restando per sempre nella storia attraverso le opere dell’artista, tutta la documentazione realizzata e la memoria di chi quell’esperienza l’ha vissuta.