SONO INNAMORATO DI PIPPA BACCA

8 marzo 2008: prende il via da Milano, con destinazione Gerusalemme, "Brides on tour", la performance dell'artista Giuseppina Pasqualino di Marineo, nome d'arte Pippa Bacca, e dell'amica Silvia Moro. Il viaggio prevede l'attraversamento in autostop di undici Paesi, con soste a casa di persone contattate in precedenza. Ad ogni tappa incontrano le ostetriche locali, perché Pippa possa lavare loro i piedi; rituale evangelico, imparato da piccola sul cammino di Compostela, che vuole esprimere riconoscenza per chi favorisce la vita in contesti postbellici. Luoghi in cui la correlazione tra bisogno e solidarietà si dà come un'evidenza, qualcosa che non ha bisogno di essere incoraggiato. Ma l'aspetto più sostanziale e spettacolare dell'azione consiste nel vestire per tutto il tempo del viaggio abiti da sposa concepiti e disegnati ad hoc.

Attraverso il movimento, tramite passaggi di sconosciuti, in realtà ferite dalla guerra (Slovenia, Croazia, Bosnia, Bulgaria, Turchia, Siria, Libano, Giordania, Cisgiordania, Israele) intendono provare con i loro corpi che due donne possono attraversare il mondo, da sole e con la solidarietà degli sconosciuti. Il loro atto artistico non arriverà a compimento: dopo una temporanea separazione on the road - il cui motivo è nucleo di senso del progetto e quindi del film - sulla strada per Istanbul Pippa viene violentata e uccisa da un uomo che le offre un passaggio. Dodici giorni dopo il suo ultimo segnale, il suo corpo viene ritrovato, sepolto in un bosco. È il presidente turco Erdogan a esprimere le condoglianze ai familiari per un delitto compiuto ai danni di "un'artista e messaggera di pace".


In occasione della GIORNATA INTERNAZIONALE PER L'ELIMINAZIONE DELLA VIOLENZA CONTRO LE DONNE
Mercoledì 25 novembre ore 21.00

La proiezione sarà preceduta da un’introduzione di Riccardo Noury, portavoce di Amnesty International; Rosalia Pasqualino di Marineo, sorella di Pippa Bacca; Simone Manetti, regista del film.


2019
Italia
Documentario
Simone Manetti
Elena Manzoni, Antonietta Pasqualino di Marineo, Maria Pasqualino di Marineo, Rosalia Pasqualino di Marineo, Valeria Pasqualino di Marineo
76min
5,00
Dal 25/11


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Pippa Bacca

Giuseppina Pasqualino di Marineo, in arte Pippa Bacca, aveva trentatré anni quando, a Gebze, è stata violentata, poi uccisa. In Turchia, avrebbe dovuto fermarsi solo pochi giorni, prima di riprendere un viaggio compiuto nel segno della pace. Invece, in quella cittadina vicina a Istanbul, dove l’amica Silvia Moro l’aveva salutata il 20 marzo del 2008, il cuore di Pippa Bacca ha smesso di battere. Allora, era il 31 marzo 2008, Giuseppina Pasqualino di Marineo se ne stava lungo una strada, certa che un uomo dall’animo buono, presto o tardi, l’avrebbe accompagnata verso Beirut, dove, per la metà di aprile, avrebbe dovuto rincontrare la compagna Silvia. 


Pippa Bacca, dell’autostop, aveva fatto un manifesto di vita, un proclama artistico. Era certa che il mondo fosse pervaso di una bontà intrinseca, che l’altro, il diverso da sé fosse una ricchezza della quale nutrirsi, con rispetto e fiducia. In autostop, insieme a Silvia Moro, era partita l’8 marzo del 2008. Indosso, portava un abito bianco, da sposa. Voleva attraversare undici Paesi dilaniati dai conflitti armati e dalla povertà con lo stesso spirito con il quale una donna percorre la navata che la separa dall’altare. L’ex Jugoslavia, la Bulgaria, la Turchia e la Siria, poi il Libano, l’Egitto, la Giordania e la Cisgiordania, per arrivare, infine, in Israele. I chilometri, in totale, avrebbero dovuto essere seimila, percorsi, tutti, con quello stesso abito bianco. Pippa Bacca, insieme a Silvia Moro, avrebbe dovuto lavarlo a Gerusalemme, in una cerimonia pubblica che avrebbe simboleggiato l’eliminazione delle scorie lasciate dalla guerra.

Pippa Bacca è stata assassinata da un uomo al quale aveva chiesto un passaggio. E di quella sua fiducia ingenua, ripagata con violenza e brutalità, racconta, alle 22 di martedì 27 agosto, Sono innamorato di Pippa Bacca, documentario in onda su Crime Investigation (canale 119 di Sky). Diretto da Simone Manetti, il documentario ricostruisce attraverso materiale inedito e interviste ad amici e familiari l’arte e la vita di Pippa Bacca, cui Alda Merini dedicò una poesia.




Presentazione in diretta


L'abito da sposa

Un abito da sposa è simbolo di un giorno di gioia condivisa, amore e famiglia, tutti valori che in guerra vengono dimenticati. Un viaggio particolare che aveva bisogno di un abito particolare, che da una parte richiamasse i temi del viaggio e dall’altra fosse pratico per poterlo utilizzare in maniera particolare. Nel dettaglio va citata la mantella, in due strati di lino, che verrà utilizzata per asciugare i durante il rito della “Lavanda dei piedi” che compierà durante il viaggio alle ostetriche del posto, un altro dettaglio è il ricamo con le bandiere dei paesi attraversati. La gonna a forma di giglio costituita da undici strati, rappresenta la purezza ed ogni strato un paese attraversato, Slovenia, Croazia, Bosnia, Serbia, Bulgaria, Turchia, Libano, Siria, Egitto, Giordania, Israele. Anche lavare l’abito durante il viaggio non era un operazione banale, Pippa aveva dato significato anche a questo, utilizzando come detersivo la lisciva, ottenuto dalla lavorazione di ceneri ed acqua, ma non ceneri normali. Le ceneri speciali di Pippa erano ottenute da un falè, in cui i suoi amici avevano bruciato oggetti significativi o simbolici. In questo progetto vi è anche un altra protagonista, l’amica e collega artista Silvia Moro, perchè il numero 2 era attribuito “alla grande madre terra”, 2 era il numero femminile simbolo del ventre, 2 sono i seni e le ovaie. La scelta di fare l’autostop era un gesto di affidamento verso il prossimo, e con il  vestito da sposa voleva simbolicamente sposare l’umanità.

PIPPA BACCA NON SE L’È CERCATA

Non è mancato chi, in Italia, ha rimproverato la scelta dell’autostop quale metodo di viaggio provocatorio e pericoloso. Pippa – che di tanto in tanto lavorava in un call-center per finanziare la propria produzione artistica – viaggiava in autostop da sempre (si veda la serie Più oltre del 2004), e, come afferma sua sorella Rosalia nell’intervista concessa a Giulia Morello, ne faceva un modo non solo di aggirare le mediazioni economiche, ma soprattutto di relazionarsi autenticamente con le popolazioni locali, un affidarsi all’altro essere umano. Per facilitare questo scambio, prima dell’ultima partenza la performer milanese studiò l’arabo per oltre un anno. La sua non era provocazione, ma un’attitudine di rispetto e dialogo. Nel tragitto mai concluso, Pippa Bacca e Silvia Moro hanno ricevuto passaggi e accoglienza da persone di ogni ceto sociale e culturale. Il viaggio – «da sempre un mezzo e un fine, scelta di vita o per alcuni l’unico modo possibile di vivere; la metafora della vita stessa» – è stato ripreso nel 2009 da Bingol Elmas, regista turca che ne ha tratto il documentario My letter to Pippa (2011). La strada scelta da Pippa è stata ripercorsa passo per passo dalla Elmas, stavolta in abito nero, colore del lutto.

Pippa Bacca non se l’è cercata. Pippa Bacca è stata uccisa.


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A Pippa

Abito bianco

per andare a nozze con la tua morte

e con quella di noi tutti

Ti sei vestita di bianco

ma siccome la tua anima mi sente

ti vorrei dire che la morte

non ha la faccia della violenza

ma che è come un sospiro di madre

che viene a prenderti dalla culla

con mano leggera

non so cosa dirti

io non credo nella bontà della gente

ho sperimentato tanto dolore

ma è come se vedessi la mia anima

vestita a nozze

che scappa dal mondo

per non gridare.

Alda Merini

Violenza sessuale, perché si tende ad incolpare la vittima

       I resoconti delle molestie si concentrano ancora troppo spesso sul punto di vista degli aggressori uomini e sul potenziale danno alla loro vita che può provocare una denuncia per violenza. 

Perché, di fronte a una violenza sessuale, l’attenzione si concentra ancora spesso sulle possibili responsabilità della vittima? Il movimento MeToo l’ha messo in luce: è come se alla donna venisse richiesto di fare qualcosa per evitare l’aggressione.

Un’indagine aveva rivelato che, sorprendentemente, sono proprio le generazioni più giovani, i ragazzi tra i 16 e i 19 anni, nel 33% dei casi, a incolpare più spesso le donne per le aggressioni che subiscono. Il 6% di loro crede che la vittima sia completamente e principalmente responsabile, se ubriaca.

Per 20 su 100, è «un po’ responsabile». Tra quelli di età compresa tra 25 e i 44, circa il 23% ritiene che una persona che ha bevuto sia almeno in parte responsabile: c’è ancora molta strada da fare, quando si tratta di affrontare le molestie sessuali. In tutti gli ambienti.

Adesso una nuova ricerca, basata su due studi, ha rivelato l’impatto dell’empatia mal riposta, quella verso l’aggressore. Le donne sono generalmente riluttanti a presentare denuncia per molestie sessuali, anche perché quando lo fanno, spesso incontrano persone che le guardano con sospetto. Per evidenziare questi diffusi atteggiamenti di colpevolizzazione della vittima e il lato oscuro dell’empatia che li alimenta, i ricercatori hanno completato due studi.

Nel primo, i partecipanti hanno dibattuto su una vignetta che raccontava una molestia subita da una studentessa da parte di un compagno. Gli uomini, più delle donne, hanno incolpato la vittima: i ricercatori hanno interpretato questa tendenza chiamando in causa la maggiore empatia per il maschio, e non la minore empatia per la vittima, femmina.

Nel secondo studio, ai partecipanti è stato chiesto di analizzare la stessa vignetta e concentrarsi sul punto di vista di un uomo o di una donna nella stessa situazione. Sia le femmine che i maschi, però, tendevano a focalizzarsi sulla prospettiva del colpevole, dimostrando di nuovo una maggiore empatia verso gli uomini. E ancora una volta, concentrarsi sulla prospettiva dell’uomo portava a incolpare maggiormente la donna.

«I resoconti dei media sulle molestie sessuali si concentrano ancora troppo spesso sul punto di vista degli aggressori uomini e sul potenziale danno alla loro vita che può provocare una denuncia per violenza», ha aggiunto la dottoressa Renata Bongiorno, dell’università di Exeter, che ha curato lo studio, pubblicato su Psychology of Women Quarterly. «Dunque tutti, inclusi gli uomini, dovrebbero essere consapevoli che la loro empatia nei confronti dell’aggressore può aumentare la probabilità di incolpare le donne. E questa situazione continua a rendere molto difficile, per le donne molestate sessualmente, farsi avanti a denunciare e riuscire ad ottenere un’udienza equa».


Eures: 91 donne vittime di femminicidio nel 2020. Uccisa 1 donna ogni 3 giorni

   Questi i dati dei primi 10 mesi, 3 al giorno, gran parte in ambito familiare. Sono 3.344 le donne uccise in Italia tra il 2000 e 31 ottobre 2020, pari al 30% degli 11.133 omicidi volontari. In lockdown in 4 casi su 5 killer convivente   

In sostanza, l'incidenza del contesto familiare nei femminicidi raggiunge nel 2020 il valore record dell'89%, superando il già elevatissimo 85,8% registrato nel 2019. Analogamente, all'interno del contesto familiare, i femminicidi consumati all'interno della coppia salgono al 69,1% (erano il 65,8% l'anno passato).  

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