RITRATTO DI FAMIGLIA CON TEMPESTA

Fino a ieri Shinoda Ryota aveva tutto: una consorte, un figlio e un altro romanzo da scrivere dopo aver vinto un premio letterario prestigioso. Poi qualcosa è andato storto, Kyoko gli ha chiesto il divorzio, Shingo lo vede soltanto una volta al mese, il romanzo è rimasto un'intenzione. Per pagare l'assegno mensile alla ex moglie, lavora per un'agenzia investigativa, per dimenticare le indagini ordinarie gioca alle corse, alla lotteria, a qualsiasi cosa possa restituirgli quello che ha perduto. Ma la vita è più complicata di così, bugie, tradimenti, meschinità gli hanno alienato la fiducia degli affetti. Ryota gira a vuoto e fatica a trovare il suo posto nel mondo e in quello di suo figlio. Poi una sera un ciclone si abbatte su Tokyo e sulla sua famiglia che trova riparo a casa della madre, felice di averli di nuovo tutti e tre insieme. La notte porterà consiglio e Kyoto proverà a riguadagnare la fiducia di Shingo e a 'scommettere' questa volta sull'amore. Il vento si placa e una mattina tersa si prepara.

2016
Giappone,
Drammatico
Kore'eda Hirokazu
Hiroshi Abe, Kirin Kiki, Yôko Maki, Lily Franky, Sôsuke Ikematsu, Satomi Kobayashi
117min
3,90
V.O. CON SOTTOTITOLI


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È come se il cinema fosse la prosecuzione naturale del quotidiano. Non più un’immagine after life, ma un’altra esperienza inserita nel flusso della vita. Ma resta la malinconia di fondo


 I personaggi di Kore-eda li incontriamo a ogni angolo di strada, in ogni momento. Sono persone ben “reali”, anche quando sono fantasmi o bambole di gomma. Ryota Shinoda potrebbe essere mio padre, il mio migliore amico. Del resto ha il volto ormai familiare di Hiroshi Abe, “still walking”, che torna ad abitare queste stanze, insieme alla straordinaria Kilin Kiki, al beffardo Lily Franky. Ryota potrebbe tranquillamente essere me, tanto le sue tenerissime debolezze riflettono le mie e i suoi sentimenti mi appartengono. Per questo ogni cosa che dice e che fa mi tocca nel profondo. E ogni parola sul suo conto implicherebbe una confessione, un atto di dolore fatto tra il sorriso e il pianto. Significherebbe ammettere le proprie incongruenze, tutte le illusioni infantili, tutti quei maldestri tentativi di tenere in piedi i sogni e la realtà, di cercare un’utopica permanenza dei rapporti senza tener conto dei cambiamenti irreversibili, delle scelte, degli errori, dello scarto incolmabile tra il passato e il futuro.

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Come si ferma il lento fluire del quotidiano? Ritratto di famiglia con tempesta segna ancora la necessità di inseguire il frammento, di arrestare provvisoriamente il tempo nello spazio di un’inquadratura come se il pittore davanti un dipinto. Non c’è la rappresentazione della vita come la vedono gli occhi ma soltanto la sua percezione. Ci sono ancora dei “gruppi di famiglia” dove un evento (in questo caso l’arrivo del tifone) ridisegna tutti gli equilibri come è avvenuto in Little Sister e Father and Son. Ma la figura stessa del protagonista Ryoka – un tempo promettente scrittore, ora detective privato senza più talento e soldi che sta cercando di riallacciare i rapporti con la propria famiglia – appare filmato con un’astrattezza simile alla bambola gonfiabile di Air Doll o i fantasmi di After Life, proprio per il tentativo di recuperarne qualcosa di invisibile, quasi una sua anima sotterranea.

Ritratto di famiglia con tempesta sembra un film ancora più essenziale nel cinema di Kore-eda. Non pedina neorealisticamente il protagonista, ma ne cattura lo scarto tra desiderio di ricominciare e una sottile autodistruttività. C’è sempre un tempo dell’attesa, come in Nobody Knows, una sottile incertezza vicina all’inquietudine quando l’inquadratura successiva potrebbe mostrare una sorpresa che potrebbe rimettere in gioco tutto. Invece delle case in collina o i giardini di provincia, c’è un dichiarato ritorno ai quartieri della sua infanzia, i caseggiati dell’Asahigaoka House Complex di Kiyose, a Tokyo. E dietro una rappresentazione apparentemente impassibile, si avvertono fratture del passato, piccoli e grandi dolori e una malinconia del tempo che passa mostrati con una magica trasparenza simile al cinema di Ozu.

Il cinema di Kore-eda balla sottilmente tra il dramma e le forme di una commedia leggera. La giornata di Ryoka con il figlio ha momenti esilaranti come l’acquisto degli scarpini da calcio che vengono intenzionalmente rovinati dal protagonista prima di andare in cassa per poter pagare così di meno. Lì si avverte l’inadeguatezza di Ryoka davanti alla normalità del rapporto padre-figlio, che diventa invece qualcosa di straordinario, e la tentazione impossibile di trasformarsi in qualcos’altro. Sono tutte geometrie che intrecciano i rapporti del personaggio principale anche con la madre e l’ex moglie, protagonisti tutti e tre di un folgorante momento: i due parlano seduti per terra; quando arriva la tempesta, sono come intrappolati, mentre la madre prepara da mangiare. La vita continua a scorrere normalmente, in una tranquilla immobilità come gli anziani che ascoltano Beethoven.

Un tempo provvisorio, sempre sul punto di fuggire, un momento di serenità, di pace che appena ci si rende conto è già passato. La magia del cinema, dello sguardo di Kore-eda, sta nell’attraversarlo consapevolmente in uno stato continuamente sospeso tra allegria e tristezza, dove la visione diventa esperienza, memoria di un’esistenza. Quella propria.

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Infaticabile ritrattista di famiglie, di cui fa un campo di investigazione privilegiato, Hirokazu Kore-eda realizza un'ode all'istante, solo rifugio di un mondo dove niente è permanente, soprattutto le relazioni umane. In quell'intervallo e dentro una notte tempestosa ritrova una famiglia. Una famiglia che probabilmente non tornerà mai unita ma che impara ad esserlo anche separata.

Autore delle emozioni millimetriche e di una maniera contemplativa, Kore-eda procede a un'analisi clinica del gesto quotidiano e dei caratteri che mette in schermo, rintracciando ancora una volta le ferite prodotte dalla relazione padre-figli. Al cuore della storia c'è un perdente cechoviano e una rassegnazione cechoviana. Ryoto, padre assente e alla deriva, incarna la speranza delusa del figlio e della letteratura e un'immaturità che si trascina e prospera in un mestiere avvilente. Dal padre, il protagonista ha ereditato il vizio incorreggibile per il gioco e una tensione alla menzogna che ha mandato all'aria la sua vita, separato la sua famiglia e deluso suo figlio, che lo guarda imbrogliare e imbrogliarsi.

Eroe avvilito e romanzesco, il protagonista di Abe Hiroshi rimanda ad una indecisione dello spirito e a una indecidibilità del corpo. Nondimeno, incarna la nascita di un padre, ribadendo nel cinema di Kore-eda il sentimento di paternità come coscienza (affettiva) che si apprende. Come Father and son, After the Storm dimostra che non si diventa padri da soli, c'è sempre un bambino a insegnare l'amore, è sempre lo sguardo di un bambino a fare di un uomo un padre. Perché la paternità non si stabilisce immediatamente con la nascita ma si costruisce nel tempo.