EX LIBRIS: NEW YORK PUBLIC LIBRARY

Il sistema bibliotecario di New York, cuore pulsante della vita culturale cittadina, è un apparato complesso, costituito da novantadue sedi. Sostenuto grazie a una gestione mista di fondi pubblici e privati, è nato per garantire a tutti i cittadini accesso gratuito alle proprie raccolte. È questo l'ultimo mondo scandagliato, nei suoi diversi aspetti e ordini di significato, da Ex Libris, l'ultimo film del documentarista statunitense Frederick Wiseman (classe 1930), con all'attivo oltre quaranta titoli a partire dalla fine degli anni Sessanta, con il metodo e il ritmo che (purtroppo solo) il pubblico dei festival europei ha imparato a riconoscere negli ultimi quindici anni. Per la prima volta è in competizione nel concorso ufficiale alla Mostra di Venezia, che ha già ospitato alcuni suoi lavori: In Jackson Heights e At Berkeley (Fuori concorso nel 2015 e 2013) Crazy Horse (Giornate degli autori, 2011) La Danse - Le ballet de l'Opera de Paris (Orizzonti, 2009) e Domestic Violence (Nuovi Territori, 2001).

Wiseman guida lo spettatore in un racconto fiume (197 minuti) nei diversi ambienti, rivela le diverse location non come una guida le mostrerebbe a un gruppo di turisti ma le accosta come gli organi di uno stesso corpo, una macchina la cui linfa vitale equivale all'informazione e al valore distribuiti alla cittadinanza coi suoi servizi

La macchina da presa coglie perfino il tono di voce degli addetti, le loro mansioni e le esigenze degli utenti, siano essi privati cittadini, ricercatori al lavoro su archivi oppure homeless in cerca di riparo. In parallelo, siede al tavolo delle riunioni operative del direttivo, un gruppo alla costante ricerca di risorse, impegnato a decidere come diversificarle e a come coinvolgere gli investitori e i rappresentanti della politica. Oltre alla digitalizzazione dei repertori e il continuo aggiornamento dei cataloghi c'è l'urgenza di ridurre il più possibile il divario digitale, dato che un newyorkese su tre non ha accesso alla rete. L'attività delle biblioteche pubbliche infatti non si limita al prestito e consultazione di opere sui supporti più diversi, ma consiste anche nel reperire in rete informazioni utili, per esempio mediche e legali, e in un'ampia gamma di corsi, possibilità di impiego, occasioni di relazione e di istruzione, con percorsi ad hoc per i disabili.


2017
USA
Documentario
Frederick Wiseman

197 minuti
3,90


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«Non avevo intenzione di realizzare un film politico, è stato Trump a renderlo tale. La biblioteca si configura come un elemento anti-Trump. Ciò che rappresenta è qualcosa che lui non capisce: è aperta a tutti, aiuta la gente, permette che si crei una cultura. Trump è molto darwiniano, anche se non credo che lui sappia cosa significa. La biblioteca è un repellente per lui.» – Frederick Wiseman


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«Attraverso i seminari, gli incontri, le letture, le conversazioni pubbliche con gli artisti – Elvis Costello, Patti Smith – gli scrittori, Wiseman disegna una Storia dell’America nella quale affiorano le chiavi di lettura dell’oggi. La realtà nel cinema diretto di Wiseman non è una presa di posizione ideologica, affiora dalle sue immagini, è dentro la forma con cui vengono organizzate. E in questo magnifico film, forse il suo più bello, più che mai: nella trama corale affiora una dichiarazione di resistenza, il sapere, l’educazione, sono altamente rivoluzionari, e per questo devono essere controllati e distorti.» – Cristina Piccino, Il Manifesto

Ex Libris è il documentario più bello che puoi vedere in questi giorni

Bisogna aspettare fino alla fine delle tre ore e diciassette minuti di film per leggere i nomi degli scrittori e intellettuali che appaiono durante il corso di Ex Libris, il film che Frederick Wiseman dedica alla New York Public Library, il sistema di biblioteche pubbliche della città nordamericana.

Anche se la maggior parte di chi parla dal palco di uno dei tanti distaccamenti della NYPL è ben più che riconoscibile, come Patti Smith o Richard Dawkins, cioè, come si dice, non ha bisogno di introduzioni, nell’economia generale del film la scelta di Wiseman sembra un gesto di modestia. Le biblioteche sono strumenti di democrazia, di studio e di vita, pare suggerirci, a cui tutti possono accedere, in cui tutti sono uguali.

Straordinario documentarista, Frederick Wiseman, nato nel 1930 e attivo dagli anni ‘60, è forse il migliore e più accurato narratore delle dinamiche interne alla democrazia statunitense. Definito da A. O. Scott “uno dei più importanti e originali registi contemporanei” e Leone d’Oro alla carriera alla 74° mostra del cinema di Venezia, Wiseman ha fatto del suo lavoro una lunga e accurata osservazione dei meccanismi che governano le istituzioni della società in cui viviamo, che formano e strutturano il mondo che ci circonda.

Chiunque abbia visto un suo film, riconosce immediatamente il suo sguardo: Wiseman combina insieme ore di girato, senza inserire commenti, spiegazioni, senza fare interviste. Mosca-sul-muro, ma con una forte attenzione al montaggio e alla drammatizzazione, lascia che a narrare, a spiegare, a mettere in discussione le nostre convinzioni siano le stesse immagini.

In più di cinquant’anni, Wiseman si è occupato di tutti i tipi di istituzioni, da quelle totali, come gli ospedali psichiatrici (Titicut Follies, 1967), a quelle culturali come National Gallery (2014), alle università (At Berkeley, 2013), fino alle comunità (lo splendido In Jackson Height, 2015). Che si tratti di dipartimenti di polizia (come quello di Kansas City, in Law and Order), del balletto dell’Opera di Parigi o di un paesino del Mid-West come nell’ultimo lavoro (Monrovia, Indiana), i suoi film sono sempre e invariabilmente politici, cioè riguardano la collettività, le dinamiche di potere e il senso di appartenenza.

Ex Libris è la perfetta occasione per scoprire questo regista: uscito nel 2017, distribuito in alcuni cinema italiani l’anno successivo, adesso è entrato nell’archivio Rai, che lo ha messo brevemente a disposizione degli spettatori. Dalla sede centrale accanto a Bryant Park, lo Schwarzman Building tra 5th Avenue e 41st Street, quello con i leoni all’ingresso e set di tanti film (il primo che mi viene in mente è Colazione da Tiffany), alla minuscola Macomb's Bridge Library di Harlem, Wiseman ci offre uno spaccato delle ben novantadue sedi della NYPL, sparse nei cinque borough di New York, dal Bronx a Staten Island.

A guardarlo in questi giorni viene un po’ di malinconia: non solo per quella New York vivacissima, fatta di tanti multiversi e che questi giorni vediamo desolata e deserta, ma per quello spirito comunitario che costituisce il nucleo centrale delle biblioteche, la loro ragione d’essere (in attesa di poter riaprire le biblioteche, vale la pena ricordare che in Italia ci si può iscrivere al servizio bibliotecario online, Mlol).

Se lo Schwarzman Building, con le sue magnifiche sale letture e i suoi programmi di incontri, è il biglietto da visita della NYPL, è nei distaccamenti locali che si costruisce il senso di comunità: a Chinatown si offrono corsi di lingua, a Harlem si dibatte della gentrificazione della zona, in un’altra si cercano soluzioni per attirare i ragazzi agli workshop di matematica, in un’altra ancora ci si trova per discutere L’amore ai tempi del colera.

L’unica volta che sono stata in una NYPL si trattava proprio di quella di Bryant Park: la sala in cui ero andata a sentire Kate Zambreno era piccola e interrata, interamente ricoperta di moquette verde. In una coincidenza un poco bizzarra e molto bella, un paio di giorni dopo ho incontrato una delle ragazze nel pubblico a un workshop di una rivista a Brooklyn: quali potevano essere le probabilità di incontrare qualcuno per caso a New York? Nondimeno era stata una biblioteca a creare l’occasione.

Ad un certo punto del film, una delle dirigenti della NYPL spiega che se le biblioteche del nord Europa sono incentrate sui libri, in quelle del sud i libri quasi non si vedono: le biblioteche insomma assomigliano più a spazi liberi e quasi sovversivi, che vanno difesi, ma soprattutto raccontati nella loro pluralità. In gran parte delle assemblee registrare in questo documentario si discute come far passare questo messaggio e come recuperare fondi per rimanere aperti e poter attirare sempre più utenti, cioè cittadini.

L’attivista Miles Hodges sottolinea davanti una platea di spettatori come il sapere non sia per forza quello accademico e poi recita una poesia che parla della vita di chi ha davanti: se il quartetto di flauti nella biblioteca del Bronx sembra non entusiasmare troppo, la reazione a What’s in a man è tutt’altra; è questione di eredità diverse, di bisogni diversi.

In Italia, Antonella Agnoli, teorica delle biblioteche, ha sempre sottolineato il ruolo sociale di questi luoghi, come debbano essere modellati da chi li frequenta, essere luogo di riposo per senzatetto, di rimedio alla solitudine: qui vale lo stesso. Così in più di tre ore non compare quasi nessuno dei 53 milioni di libri in possesso della NYPL: in una delle poche occasioni, li vediamo passare sui nastri trasportatori, mossi dagli addetti.

La maggiore capacità di questo film è infatti quella di raccontare la struttura umana di questi luoghi: dai centralinisti che spiegano con enorme pazienza che gli unicorni sono esseri immaginari e non reali, a quelli che aiutano a ricostruire gli alberi genealogici, a chi studia per raffinare le ricerche iconografiche, a chi ragiona su come investire i fondi, come recuperarne altri. C’è un’intera società che lotta per un mondo più eguale, utopico, un prestito alla volta.

Le biblioteche pubbliche in America sono cambiate da quando ero giovane. Ricordo che andavo in biblioteca a prendere i libri. Ora le biblioteche offrono molto di piu?. Durante le riprese del film sono rimasto colpito nello scoprire la grande varieta? di servizi, opportunita? ed esperienze che le biblioteche forniscono a chiunque vi acceda. Le biblioteche odierne sono diventate dei centri comunitari con corsi doposcuola per i bambini e corsi di formazione per gli adulti in lingue, cittadinanza, economia e informatica.

In un’America protezionista e conservatrice la necessità di trasmettere al mondo un messaggio di apertura, inclusione e accoglienza diventa una priorità. Tanto da sbilanciare il documentario su questi temi.  In parte per far conoscere le attività meno tradizionali dell’istituzione bibliotecaria ma anche per controbilanciare la tendenza politica introdotta dalla nuova presidenza. Resta il fatto che i libri sono quasi del tutto assenti dal documentario, con le attività più tradizionali quali la consultazione e il prestito,  sicuramente anche le più note al pubblico. Come a sottolineare che in biblioteca ci sono i libri ma c’è anche molto altro. D’altronde il motto che si ripete nel film è libraries are not about books, libraries are about people. E le persone in questo film sono, infatti, molto più presenti dei libri.

Ci sono le presentazioni di libri, gli incontri con gli autori,  con i bibliotecari e con gli esperti, in cui si discute di temi sociali quali la discriminazione razziale o il ruolo della donna, s’insegna ai bambini non madrelingua a leggere e parlare in inglese, s’insegna a utenti di ogni età a usare il computer;  si possono incontrare musicisti come Elvis Costello, si può prendere in prestito un intero set per il collegamento a internet, incluso hot spot per un anno, o chiedere al telefono a un bibliotecario che cos’è esattamente un unicorno. Chiunque può consultare la Picture Library usata da tutti i grandi artisti di New York (e dalla quale Andy Warhol ha rubato un sacco di cose, racconta il bibliotecario). Chiunque  può  avere accesso alle stesse risorse documentarie rese disponibili ad Andy Warhol e altri grandi artisti, liberamente e gratuitamente.

La biblioteca pubblica di New York (e le sue sedi decentrate)  appaiono come un organismo vivente, collocato nel cuore pulsante della città. Non a caso viene spesso inquadrata dall’esterno, immersa nei rumori e nei ritmi del traffico, della vita quotidiana, per ricordare che quell’edificio non è un’entità distante, ma è a portata di mano per tutti. E’ un luogo cittadino inclusivo, egualitario, antirazziale, in una parola democratico. Un simbolo forte per una nazione che ha sempre fatto della democrazia il suo vessillo, democrazia che,  con la presente amministrazione,  corre oggi seri rischi. Libraries are the pillars of our democracy, le biblioteche sono i pilastri della nostra democrazia, si dice in una scena del film, citando la poetessa Maya Angelou  che definiva le biblioteche “arcobaleni in mezzo alle nuvole”.

Se l’obiettivo di Ex Libris era mostrare tutto quello che l’istituzione biblioteca può offrire, e soprattutto il suo carattere  inclusivo e democratico, il diritto per tutti all’informazione e all’accesso ai mezzi necessari per migliorarsi, i cardini sui quali si fonda la cultura protestante americana, il regista ci è riuscito appieno. L’ha mostrato per la New York Public Library ma in generale per tutte le biblioteche. Non è solo la NYPL ma è l’istituzione bibliotecaria la protagonista del film. Tutte le biblioteche, anche le biblioteche italiane, possono offrire ciò che offre la NYPL. A volte con altrettanto impatto, a volte meno, ma non importa. La biblioteca oggi è quello che descrive Wiseman. Non solo libri.

Ex Libris – The New York Public Library è un oggetto di puro sguardo, senza contaminazione. Wiseman si mantiene spettatore, ancor prima che regista, e suddivide l’esplorazione in una sorta di capitoli dedicati alle varie sale e alle attività della biblioteca. Si susseguono incontri con ospiti come Elvis Costello e Patti Smith, dibattiti, attività con bambini, riunioni dei dirigenti, lezioni e riflessioni tanto rivolte al passato, alla storia degli Stati Uniti, spesso ancora travisata, quanto al futuro della digitalizzazione e del virtuale. Sono segmenti autonomi che hanno una propria vitalità e che donano fascinazione (seppur non totalmente omogenea) a luoghi e attività che diamo spesso per scontati o che ignoriamo, a cui assistiamo qui con genuina partecipazione, carpendone i meccanismi, i segreti e la rilevanza collettiva.

C’è una domanda, in particolare, che costituisce il cuore di Ex Libris – The New York Public Library, dapprima silente, poi pronunciata durante uno degli incontri mostrati: che cos’è una biblioteca? Una domanda all’apparenza banale, ma che evidenzia una percezione spesso sbagliata o limitata. La biblioteca non è infatti un mero deposito di libri ma un luogo in cui acquisire conoscenza e in cui si riflettono i bisogni di una città. Un luogo di importanza culturale, sociale, economica che offre un riparo fisico e spirituale alla comunità. Ed è così che con Wiseman l’osservazione si fa azione e manifesto, ridefinendo un luogo che si scopre nonluogo. Questa complementarità dicotomica, ricorrente nel cinema di Wiseman, passa attraverso gli spazi mostrati sin dalla prima immagine, sin dalla porta girevole dell’edificio principale e storico della biblioteca newyorchese che conduce non solo al proprio interno, ma anche a tutte le altre sezioni disseminate nei vari quartieri di New York. Fino alla città stessa, ai suoi parchi, le sue strade e alla folla che le attraversa. Ex Libris, dai libri. Dai libri all’intera comunità.

Alcuni degli interventi mostrati nel documentario rivelano un livello metatestuale più o meno manifesto, come il succitato riferimento alla definizione di biblioteca e le asserzioni sulla poesia della realtà e sulla politica insita nelle parole e nell’architettura emozionale del racconto. Proprio questi aspetti si pongono alla base del cinema di Frederick Wiseman, che intreccia la poetica del reale alla politica di uno sguardo in continuo movimento, evidenziando in questo caso nella New York Public Library i fondamenti della democrazia che altrove appaiono sbiaditi.