PHANTOM BOY

Leo è un bambino sottoposto a chemioterapia che ha una dote particolare: dal suo corpo si può staccare un fantasma che può attraversare porte e muri e sfrecciare nel cielo di New York. Questa facoltà diventa molto utile per un poliziotto, a sua volta ospedalizzato per una frattura a una gamba, nella caccia di un malvagio sfigurato che vuole distruggere per via informatica la città.

Lo Studio Folimage ha da anni conquistato una sua precisa e riconosciuta collocazione nel mondo dell'animazione grazie al lavoro di Jacques.Rémy Girerd con La profezia delle ranocchie e Mià e il Migù.

Il regista ora produce il secondo film della coppia che con A Cat in Paris ricevette una nomination all'Oscar. Siamo di fronte a un disegno che si distingue per originalità di tratto e che quindi non intende rivolgersi al pubblico che predilige l'animazione made in Usa. Ci sono richiami al cinema (il 'cattivo' e la New York notturna ci rinviano a Batman) e ad atmosfere tipiche del noir a cui si aggiunge la dimensione della malattia. Leo ha un tumore ed è ospedalizzato. La sua famiglia soffre senza manifestarglielo ma lui lo scopre grazie al fantasma che esce del suo corpo e vola libero.

Questo versante fa da contraltare alla lotta contro il personaggio sfigurato che vuole distruggere la città con l'aiuto di due maldestri aiutanti e qualifica il film come opera che si rivolge più a un pubblico di appassionati del cinema d'animazione che non ai bambini. Ai quali però non farebbe male assistere a un'avventura il cui 'eroe' è qualcuno che si trova in uno stato di disabilità forzata a causa della malattia. L'ospedale viene qui trasformato in centrale operativa grazie alla collaborazione tra il poliziotto infortunato e il bambino. Così un luogo in cui allontaniamo dai nostri occhi e dai nostri pensieri il disagio fisico e psicologico, acquista una valenza nuova ed originale non limitandosi ad intrattenere ma facendo anche pensare. Una qualità che nei film prodotti da Folimage non viene mai meno.



2015
Belgio, Francia
ANIMAZIONE
Jean-Loup Felicioli, Alain Gagnol
Edouard Baer, Jean-Pierre Marielle, Audrey Tautou, Jackie Berroyer, Alex Robini
84min
3,00
Dall'11 febbraio


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Noir, supereroi e malattia tra i grattacieli di Manhattan


Dopo Un gatto a Parigi i due autori francesi, Alain Gagnol e Jean-Loup Felicioli, tornano portando sul grande schermo un altro film d’animazione dove Parigi lascia spazio a New York. Mentre infatti il primo lungometraggio era immerso in un’atmosfera noir e le note jazz risuonavano sui tetti delle Ville Lumière, in Phantom Boy tutto si svolge tra i grattacieli di Manhattan.

Le due firme ben note dello studio Folimage mettono in scena un poliziesco-fantasy i cui disegni sono fatti a mano su carta, realizzati con pastelli a cera e poi rielaborati al computer. Un film d’animazione dal sapore retrò il cui protagonista lotta contro la sua malattia e allo stesso tempo, quando diventa un fantasma, contro un pericoloso gangster. Phantom Boy è un omaggio al noir e al mondo dei supereroi che fa anche riflettere sul tema della malattia e sull’aspetto umano dei personaggi. Bellissimo il rapporto tra Leo e la sua sorellina Titì.

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Phantom Boy, l’animazione è noir


Nel 2012 Gagnol e Felicioli avevano firmato insieme Un gatto a Parigi, candidato nella corsa agli Oscar come Miglior Film di Animazione. Di quel precedente lavoro, il nuovo racconto a tinte noir intitolato Phantom Boy conserva le atmosfere intrise di mistero e un tratto grafico ormai inconfondibile: semplice, essenziale, bidimensionale, più accurato nell’evocare suggestioni che fedele alle regole prospettiche o al rispetto delle proporzioni; una linea vibrante ed emozionale dal fascino “old-school” che, in questo secondo film degli animatori transalpini, include la lezione delle avanguardie storiche del Novecento e combina insieme alcuni grandi classici del cinema, della grafica e del fumetto, dal Caligari di Robert Weine ai titoli à la Saul Bass, fino alla Gotham City disegnata da Neal Adams negli albi DC Comics di fine Anni Sessanta.

Phantom Boy è un polar avvincente e avventuroso, ricco di omaggi e citazioni cinefile, con un protagonista molto speciale: Leo, un bambino verosimilmente affetto da una forma di leucemia, in grado di superare i limiti imposti dalla malattia grazie alla capacità di staccarsi dal proprio corpo e librarsi in volo, attraversare i muri, superando qualsiasi ostacolo. Questo inaspettato “superpotere” permette a Leo di affiancare un poliziotto momentaneamente costretto sulla sedia a rotelle (come il James Stewart fotoreporter ne La finestra sul cortile), al quale offre il suo aiuto per sventare il piano criminale di una sorta di Joker dai connotati cubisti, fermamente intenzionato a impadronirsi della città.

Lo skyline di New York, con le sue altezze vertiginose e le linee verticali che puntano al cielo, ha preso il posto dei tetti di Parigi, ma nel nuovo film, destinato a grandi e piccini nonostante una certa audacia nell’affrontare temi dolorosi come la malattia e la morte, non è solo l’aspetto grafico e la tecnica di animazione tradizionale ad affermare la continuità con il passato. Anche tematicamente, infatti, Phantom Boy non si discosta troppo da Un gatto a Parigi. In entrambi i casi, a difendere i valori morali in un mondo manicheamente diviso nell’eterna lotta tra il Bene e il Male, sono i bambini. Bambini tostissimi che presentano i tratti dell’eroe: generosità, coraggio, spirito di sacrificio.
I due registi guardano all’infanzia con grande rispetto perché, anche quando la vita non risparmia dolori e avversità, i piccoli sanno opporsi e reagire con la forza della loro innocenza, senza mai indulgere nel pietismo o nell’autocommiserazione. Phantom Boy schiva le trappole del melodramma per seguire lo schema classico del racconto poliziesco, impreziosito da un tocco “fantastico” e da una cifra poetica originale.

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La Recensione


Un bambino malato di leucemia è ricoverato in ospedale, strappato alla famiglia – papà, mamma e sorellina – e alle abitudini della sua età. Perde capelli, forze, appetito: soffre la solitudine e affronta un’incertezza del futuro troppo pesante per gli anni che ha. Scopre però di avere un potere: il suo fantasma può lasciare il corpo, quando il bimbo si addormenta, per vagare libero per il mondo, per osservare la realtà con altri occhi, per vedersi – letteralmente – dal di fuori. Durante la degenza conosce un poliziotto svagato, in ospedale per una gamba rotta rimediata in un inseguimento, e una giornalista intraprendente. Con loro salverà la città dalle minacce di un gangster con la faccia da pagliaccio cubista, anche mettendo a repentaglio la propria incolumità.

Phantom Boy, opera seconda dei francesi Jean-Loup Felicioli e Alain Gagnol, già autori del bel Un gatto a Parigi, utilizza l’animazione (ostentatamente bidimensionale, orgogliosamente minimale, consapevolmente asimmetrica) per tratteggiare un omaggio al cinema di genere classico, con piccole contaminazioni dall’immaginario contemporaneo dei supereroi, ma soprattutto per disegnare un’esemplare favola sulla malattia, sul coraggio infantile, sulla necessità di abbandonarsi e di abbandonare.

Il piccolo Leo, prigioniero in ospedale, è costretto a crescere in fretta, la sua condizione di malato lo spinge a una fragilità che si scontra con il senso di protezione nei confronti della sorella minore, con l’ansia di rasserenare i genitori che gli appaiono più sfiduciati di lui. La fantasia, l’immaterialità, il potersi, dormendo, liberare del peso terreno del corpo malato sono la sua valvola di sfogo, il solo modo di riconquistare consapevolezza e fiducia in sé stesso. Come un supereroe Leo vive una doppia vita: in quella reale non ha le forze di alzarsi dalla sua sedia a rotelle, in quella immaginata può volare libero sui cieli di una New York fantasiosa e cinefila, spesso inquadrata dall’alto e in diagonale, cartolina fantasmatica di un immaginario collettivo.

Nel racconto di Felicioli e Gagnol però i due mondi non si contrappongono ma coesistono con la stessa identica tattile realtà: Leo può così collaborare a un’indagine per salvare la città da un pittoresco supervillain (che sembra ibridare l’universo di Batman con reminiscenze umoristiche del vecchio Dick Tracy), lasciandosi trascinare nelle incursioni in un mondo criminale che mescola commedia e noir, suspense e divertimento, azione e stasi. Leo sceglie di vivere pienamente il suo giorno da leone, pur mettendo a rischio la propria fragile salute: se una guarigione è possibile questa si troverà infatti nell’accettazione delle fragilità, nel tentativo di superare i limiti, di gettare il cuore oltre l’ostacolo, di cancellare la paura con una scelta irrazionale.

Phantom Boy riesce nell’impresa di raccontare la storia di un bambino terminale bandendo la retorica dal proprio linguaggio e facendosi trascinare da un gusto classico per il racconto, smorzando i toni con il ricorso alla leggerezza, strappando con pudore qualche lacrima, ricordando che anche la malattia è un percorso di formazione destinato a produrre ricordi, nostalgia, complessità di sguardo. Come nel magnifico La mia vita da zucchina di Claude Barras, gli autori hanno scelto di fare i conti con le asperità della vita (lutti, malattie, ferite) affrontandole come fossero un romanzo d’appendice, non temendo il peso dell’argomento ma sfidandolo (e domandolo) con le caratteristiche tipiche dell’età che racconta. Ironia, forza d’animo e una vena di irresistibile, contagiosa follia: il mondo salvato dai ragazzini.

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