IL BAMBINO CHE SCOPRÌ IL MONDO

Un bambino vive con i suoi genitori in campagna e passa le giornate in compagnia di ciò che gli offre la natura che lo circonda: pesci, alberi, uccelli e nuvole, tutto diventa pretesto per un gioco e una risata, briglie sciolte alla fantasia. Ma un giorno il padre parte per la città in cerca di lavoro. E il bambino, a cui il genitore ha lasciato nel cuore la melodia indimenticabile che gli suonava sempre, mette in valigia una foto della sua famiglia e decide di seguirne le tracce. Si troverà in un mondo a lui completamente ignoto, fatto di campi di cotone a perdita d'occhio, fabbriche cupe, porti immensi e città sovraffollate. Affronterà imprevisti e pericoli per terra e per mare, crescerà, ma qualcosa di quel bambino che si tuffava in mezzo alle nuvole in lui rimarrà sempre.

Ci sono film che fanno della loro indipendenza creativa da modalità visive date ormai per acquisite e richieste dal pubblico il loro punto di forza. Questo film di Abreu appartiene a questa, purtroppo, sempre più esigua schiera collocandosi in una posizione di assoluto prestigio. Le tecniche adottate sono molteplici: si va dalle matite colorate ai pastelli ad olio passando per il collage. Ma ciò che più conta è la fantasia con la quale ogni singolo fotogramma viene innervato senza che questo si trasformi in una esibizione di ricerca estetica ma, anzi, conservando costantemente un sentimento di adesione ai più profondi sentimenti dell'essere umano.

Il bambino che scoprì il mondo non è 'solo' un film per bambini. E' un film per tutte le fasce di età perché ognuno può trovarci un livello di lettura della contemporaneità adeguato a sé e alla propria capacità di decodificazione. I più piccoli potranno seguire le vicende del piccolo protagonista nel suo viaggio alla ricerca del papà percependone i momenti allegri e quelli tristi, acquisendo però la sensazione dell'amore fondamentale dei genitori che a lui è stato trasmesso nonostante la forzata separazione e malgrado un mondo che non è fatto a misura d'uomo. Ai ragazzi più grandi vengono offerte progressive proposte di riflessione sul mondo del lavoro, sui diritti umani, sull'ecologia, sulla povertà e sulla necessità di non far prevalere il negativo, pur prendendo atto della sua esistenza, e cercando di combatterlo con la bellezza della musica e con la preservazione della Natura. Gli adulti si troveranno di fronte a una lettura della società ricca di annotazioni anche dolorose senza però che venga tolto spazio alla speranza. Che si trova concentrata nel modo in cui il bambino ha vissuto l'amore dei genitori che è la forza che non lo abbandonerà mai, neppure nei momenti più difficili. Non è facile trasmettere concetti ed emozioni con così tanta sensibilità. Questo film ci riesce e si merita il pubblico più ampio e diversificato possibile


2013
Brasile
ANIMAZIONE
Alê Abreu
Marco Aurélio Campos, Vinicius Garcia, Lu Horta
80min
3,90
Dal 25 febbraio


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Intervista con Alê Abreu

Come è nato il progetto di Il bambino che scoprì il mondo?

Stavo lavorando allo sviluppo di Canto Latino, un documentario di animazione sulla storia latinoamericana, e mentre ascoltavo della musica di protesta degli anni '60-'70, ho ritrovato un mio quaderno di disegni nei quali avevo abbozzato il personaggio del “bambino”. Mi è venuta immediatamente voglia di integrarlo nel film che stavo preparando. Ho iniziato a creare dei piccoli passaggi dove lo si vedeva trasportato dal vento, o che correva in una foresta, o che incontrava altri personaggi. In un premontaggio ho unito queste piccole sequenze e ho cercato di creare delle relazioni tra loro, in particolare sperimentando suoni e musiche.

Ha deciso di disegnare il bambino con pochi, semplici tratti, mentre il mondo che lo circonda appare molto complesso. Ci può spiegare questo contrasto?

Realizzare questo film è stato come un gioco. Inserendo il personaggio del bambino nel documentario, il film è diventato di fiction. Il documentario intendeva raccontare una visione del mondo a partire dalla storia della costruzione dei paesi dell'America Latina, che corrisponde all'”infanzia” di questo continente. Tutte le nazioni dell'America Latina sono state colonie, fornitrici di materie prime e mano d'opera a buon mercato. E inoltre, per garantire gli interessi economici, questi Paesi hanno subito colpi di stato e dittature militari. Come sono arrivati questi Paesi alla fase “adulta” in un mondo globalizzato, dove le decisioni politiche sono sempre guidate da interessi economici? Il mondo che il bambino scopre è questo.

Perché ha scelto di adottare il punto di vista del bambino?

Il desiderio di vedere le cose attraverso lo sguardo di un bambino è nato prima del film. Il punto di vista del bambino è l'idea centrale, estetica, che mi ha portato a questo film, e non il contrario.

Come descriverebbe il personaggio del bambino?

È un bambino senza nome, senza bocca, senza voce. Percepisce dei colori nei suoni. Un giorno, suo padre se ne va e lui decide di partire per cercarlo. Intraprende questo viaggio portando con sé l'unica foto che ha della sua famiglia riunita. Determinato e certo di ritrovare suo padre, parte all'avventura.

Come definirebbe l'infanzia?

Io collego l'infanzia all'ingenuità, ai sogni, alla libertà. Come tutti i bambini, il nostro protagonista crede che tutto sia possibile. E credere che tutto sia possibile dona una forza incrollabile. Questo bambino un po' speciale è in ognuno di noi. Possiamo sentirci sconcertati dal mondo che ci circonda ma un po' di speranza, una parte di infanzia, di sogno e utopia continuano a vivere dentro di noi. Il bambino affronta un viaggio lirico e onirico, ma allo stesso tempo anche oscuro e inquietante... Questo viaggio può essere interpretato letteralmente, in maniera realistica, oppure attraverso una lettura più simbolica. In questo senso, si tratta di una storia molto aperta e preferisco che ognuno si faccia la propria idea su ciò che vuole esprimere questa avventura.

Perché ha deciso di mettere l'accento sulla coltivazione di cotone?

Diverse catene di produzione avrebbero potuto rappresentare il processo economico di cui si parla nel film. Ma il cotone, oltre a offrire delle scene visivamente di impatto, ha una forza simbolica notevole: un materiale così dolce e leggero, al punto di galleggiare, verrà trasformato in filo e poi in rotoli di tessuto, per diventare infine una seconda pelle sulle persone. Anche il filo è metaforico, può essere una pista, un cammino da seguire per il bambino... I personaggi parlano una lingua immaginaria.

Come e perché l'ha inventata?

Volevamo entrare nello sguardo del bambino, essere allo stesso tempo universali e latino-americani. Questo sguardo ci ha permesso un'immensa libertà di creazione: abbiamo inventato un altro paese, un altro pianeta e abbiamo inventato dei dialoghi. Si tratta di brevi parti di dialogo in portoghese che abbiamo fatto pronunciare al contrario dagli attori.

Il titolo compare sullo schermo dieci minuti dopo l'inizio del film: perché ha voluto ritardarlo così tanto?

Ho voluto inserirlo subito dopo l'addio tra il padre e il figlio, in un momento in cui la tensione era al culmine, per creare una rottura e rinforzare la sensazione di un “prima” e di un “dopo”. Il padre e il suo flauto, il carnevale, il musicista di strada... : la musica costituisce un elemento narrativo importante e crea una vera e propria “sinfonia visuale”.

Aveva immaginato la centralità della musica fin dall'inizio della lavorazione del film?

Abbiamo costruito lo storyboard animato introducendo già alcuni suoni e brani musicali. Alcuni erano già presenti nel mio progetto precedente, Canto Latino. La forza della resistenza e della protesta contenute in queste canzoni e il fatto che la musica sia portatrice di un certo spirito di libertà e di utopia mi hanno motivato ulteriormente a realizzare questo film e credo che questo spirito sia rimasto alla base di Il bambino che scoprì il mondo. Questo film è come un'opera lirica, dove la musica ha un ruolo centrale nella narrazione.

Come interpretare il combattimento tra l'uccello nero e quello colorato?

La libertà e la normalizzazione, il sogno e la realtà, la speranza e la paura, la luce e l'ombra. Esiste una dualità, e ognuno la può interpretare a suo modo. Mi piace pensare che si tratti diuna battaglia che si svolge all'interno di ognuno di noi. Le sequenze urbane fanno pensare a Metropolis di Fritz Lang. E la sequenza del porto sembra strizzare l'occhio ai videogiochi come Tetris o Donkey Kong.

Pensava a questi riferimenti quando le ha realizzate?

Non si tratta di riferimenti diretti, ma piuttosto di riferimenti di altri artisti che mi hanno influenzato tra cui Moebius. Sulla questione delle influenze: il cineasta che ammiro di più attualmente è Andrej Tarkovskji. Qualche critico ha già osservato la sua influenza su questo film. Ha inserito nel corso del film immagini documentarie, che illustrano catastrofi naturali e danni causati dalle industrie.

Perché?

Quando abbiamo iniziato la produzione di Il bambino che scoprì il mondo abbiamo subito pensato a utilizzare collage di giornali e riviste per gli ambienti urbani, rappresentazione di elementi banali che ogni giorno invadono un po' di più il mondo idilliaco del bambino. Ma a un certo punto abbiamo sentito il bisogno di aumentare la tensione in una scena particolare, e abbiamo deciso di utilizzare immagini documentarie.

A volte si avverte la sensazione che sia la stessa animazione ad essere messa in scena in questo film. È così?

Paul Klee diceva che l'artista non è né il signore sovrano, né lo schiavo sottomesso. O, seguendo l'immagine dell'albero: l'artista non è né le radici, né i rami, ma è il tronco. Stando in mezzo, il suo ruolo è di creare relazioni con il mondo. Come regista la cosa più importante è ascoltare il film che si intende realizzare. In questo senso, il film stesso può essere considerato un personaggio.

I suoi disegni sono realizzati con matite colorate, pastelli a cera... optando per materie prime artigianali, aveva l'intenzione di contrapporsi ad altre modalità di realizzare l'animazione al giorno d'oggi?

Si pensi a un film come Rio, che si svolge in Brasile, che condivide certe tematiche con le sue, ma il cui approccio è molto diverso... L'utilizzo di determinate tecniche tradizionali è intimamente legato al soggetto del film: un bambino che io immagino libero e leggero. I suoi tratti vibrano e portano già in sé una sorta di vitalità che contagia tutto il film. È utilizzando tutti i materiali che avevo a disposizione che ho potuto creare questa storia. Ma in effetti, la posizione estetica che si decide di tenere può divenire politica. L'urgenza che caratterizza i tratti del personaggio e il processo artigianale dell'animazione si situano all'opposto di un'estetica manistream. Una trappola nella quale sarei potuto cadere era quella di realizzare un film secondo le regole del mercato. Rio, film statunitense realizzato da un brasiliano, è visivamente molto bello. Nell'industria dell'intrattenimento si situa a un livello di qualità vicino a quello della Pixar. All'epoca, dopo aver visto questo film in Brasile, si rimaneva sorpresi a riscoprire la realtà tetra delle strade. Gran parte dei film in 3D attuali ricercano un effetto di realtà assurdo: capelli perfetti, occhi brillanti, una pelle simile al vero ma in effetti non fanno che discostarsi dalla verità. Con Il bambino che scoprì il mondo ho voluto intraprendere il cammino inverso

Il regista: Alê Abreu


Alê Abreu è nato a San Paolo (Brasile) nel 1971. Appassionato di disegno fin dall'infanzia, scopre presto René Laloux, regista di Il pianeta selvaggio (1973) e Moebius, fumettista autore di Fort Navajo. Negli anni '90, Abreu realizza due corti di animazione (Sirius e Scarecrow) e lavora a diversi progetti di illustrazione e a spot pubblicitari, prima di realizzare il suo primo lungometraggio, Garoto Cósmico: film di animazione di ispirazione fantascientifica uscito in Brasile nel 2008, racconta la storia di un bambino che vive in un mondo dove le vite di ognuno sono completamente programmate ed è difficile per ognuno scegliere la propria strada. Alê Abreu torna poi al formato cortometraggio con Passo, selezionato in diversi festival di animazione tra cui Annecy. Dopo questo successo, mentre si trova nella fase di sviluppo del documentario Canto Latino, inciampa in un bambino dalla maglietta a righe bianche e rosse...

Videomaking della colonna sonora


Il ruolo della musica


Alê Abreu ha realizzato Il bambino che scoprì il mondo conferendo alla musica un ruolo fondamentale: è lei, spesso, a imporre un ritmo, un tono, un colore al racconto. Per creare la colonna sonora originale, sono stati chiamati Ruben Feffer e Gustavo Kurlat, due artisti che avevano già collaborato con il regista in occasione del suo primo lungometraggio (il film per bambini Garoto Cósmico). Alla batteria, Nana Vasconcelos, uno dei più grandi percussionisti del mondo, vincitore di 8 Grammy Awards. Il gruppo GEM ha realizzato originali strumenti musicali assemblando per l'occasione oggetti improbabili, per inventare il linguaggio sonoro unico del film. Non essendo presenti parole nel film (a parte pochi brevissimi dialoghi recitati in portoghese rovesciato) la musica assume un'importanza fondamentale.

Il viaggio


Secondo il regista, le varie tappe del viaggio che intraprende il piccolo protagonista possono essere interpretate alla lettera, come una serie di esperienze realmente vissute, oppure come un percorso simbolico, che rappresenta i cambiamenti e la progressiva consapevolezza che sperimenta ogni bambino che diventa adulto. Così come la battaglia tra i due uccelli, uno multicolore e l'altro completamente nero, rappresentano una dualità che è presente in ognuno di noi: il conflitto della libertà contro la normalizzazione, del sogno contro la realtà, della speranza contro la paura, della luce contro l'ombra.

Il protagonista


Il bambino che scoprì il mondo, che pochi tratti stilizzati bastano a definire, non ha nome né voce, crede come tutti i bambini che ogni cosa sia possibile e persegue il suo scopo – ritrovare suo padre – con un'energia e una determinazione incrollabili. L'uso di differenti tecniche di animazione è intimamente legata al soggetto del film: la storia di un bambino che il regista immagina leggero e libero da condizionamenti e pregiudizi. Questo bambino, dichiara il regista, rappresenta un po' ognuno di noi: possiamo essere turbati e delusi dal mondo che ci circonda, ma una parte infantile, di sogno e speranza continuano a vivere dentro di noi anche una volta diventati adulti.

Video disegni


L'animazione


“Non ho cercato di disegnare per forza come i bambini, quello che volevo trovare era la stessa libertà che sperimentano i bambini quando disegnano”. In Il bambino che scoprì il mondo Alê Abreu mescola colori e tecniche: pastelli a olio, matite colorate, collage da giornali e riviste. Il regista ha disegnato tutti gli sfondi e si è occupato personalmente di tutte le animazioni, ma al film hanno lavorato 150 persone. L'originalità del film sta non solo nelle sue invenzioni visive, ma anche nella scelta di un ritmo ben lontano da quelli frenetici cui siamo abituati oggi. La realizzazione del film ha richiesto 5 anni di lavoro

“La più bella sorpresa di ottobre, il film più bello dell'anno”

L'EXPRESS, Francia

“Un meraviglioso film di animazione, una totale felicità”

Télérama, Francia 

La genesi del film


Alê Abreu stava lavorando a un documentario di animazione sulla storia latino-americana quando ritrovò dei quaderni nei quali aveva abbozzato il personaggio del bambino. Vedendoli, pensò immediatamente che questo bambino sarebbe potuto diventare il protagonista di un film, che a quel punto avrebbe narrato la sua storia. Una storia che, pur non essendo più un documentario, avrebbe comunque raccontato molto del Brasile di oggi, metafora di tanti altri posti nel mondo.

“Una semplice parabola universale coraggiosamente narrata con fantasiose immagini”

Dennis Harvey, Variety

Dal Brasile una poesia animata


Tutto inizia con un pallino colorato, il centro di una girandola di colori e forme floreali che ruotano in maniera simmetrica a suon di musica, fino a formare una pietra striata. Un bambino posa l’orecchio su di essa e pare sentire la meraviglia nascosta al suo interno, nota solo a lui.

I suoni e i colori vanno di pari passo, l’animazione è semplice, ma estremamente ricca, un patchwork di tecniche diverse dove la metafora, il ricordo e la realtà s’intersecano alla perfezione creando dei quadri magnifici.
La speranza di un ritorno al rispetto della natura non cessa mai, anche se continuamente ostacolata dai poteri forti.

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“Un incantevole film d'animazione, la poesia del Mondo”

Le Monde, Francia

La fatica di crescere: “Il bambino che scoprì il mondo”


L’autore brasiliano mescola diverse tecniche di disegno e colore (pastelli a olio, matite colorate, pennarelli, penne a sfera e collage), cerca di operare una messa in scena tesa a riprodurre in un certo qual modo i meccanismi cerebrali dei bambini, la cui immaginazione non si pone limiti di veridicità o possibilità. Il tratto è minimale e imprime su uno sfondo prevalentemente bianco una pioggia di colori accesi la quale, assieme a musiche e suoni naturali che si fanno vere e proprie melodie, crea un trionfo, una festa tra tutte le creature e gli elementi che popolano il pianeta.

Ma una totale visione e rappresentazione del mondo in questi termini sarebbe oltremodo ottimista e falsa, anche per un film d’animazione che si rivolge principalmente ai bambini, ma che in realtà va oltre e crea evidenti spunti per una riflessione più adulta. Il viaggio del bambino è un graduale passaggio dal mondo nel quale è nato, un cosmo colorato, incontaminato, divertente e amico, a quello industrializzato e artificiale. Nel primo sembra non esistere pericolo, i sassi, i fili d’erba e ogni animale sono mezzi per scoprire e crescere. Quando invece il ragazzo giungerà nel mondo industrializzato, le macchine diverranno enormi bestie pericolose che mangiano e distruggono tutto ciò che gli si trova in fronte: il pericolo è ovunque.

La Metropoli(s) è simbolicamente una sorta di piramide, dove il poco benessere sta in alto e la povertà dilagante in basso, nella favela. Dal film emerge anche una riflessione sulla condizione dell’umile lavoratore nell’era industriale: l’alienazione dell’uomo di cui parlava già Chaplin nel 1936 è resa in modo molto efficace grazie a inquadrature larghe e schematiche, dai tratti rigidi e i movimenti meccanici.

Insomma due mondi all’interno dello stesso pianeta, uno colorato e l’altro cupo. I poli opposti prendono le fattezze di due grandi uccelli, combattono e quello nero, armato, sembra avere la meglio sul rivale. Nonostante l’autore sia intenzionato a restituire anche una visione scura, degradata e disillusa del mondo e quanto potenziale autodistruttivo possa avere il genere umano, il messaggio finale sarà comunque di speranza. L’uccello colorato risorgerà dalle ceneri come l’araba fenice e riporterà l’allegra melodia nel mondo.

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“Difficile spiegare con le parole la ricchezza grafica e musicale del film. Affascinante e toccante” Bernard Génin, Positif