Il “napoletano bolognese” più poetico che esista, continua a muoversi dentro di me come da sempre, per sempre.
Chi apre la posta di Lucio Dalla? E chi sono i mittenti di
queste lettere che, misteriosamente, ancora riceve?
Egle Petazzoni è una postina un po’ speciale: è la postina
di Lucio Dalla. Forse dovremmo rivolgere a lei questa domanda. Anche dopo la
scomparsa del cantautore, il suo lavoro non è ancora finito. Egle infatti entra
in possesso di lettere indirizzate all'artista. I mittenti sono i protagonisti
di alcune delle sue canzoni più belle che hanno deciso di prendere carta e
penna per contattarlo raccontando di sé. Il "caro amico" a cui Lucio
scrive ne L'anno che verrà che fine ha fatto? Che ne è stato di Anna e Marco?
Chi è e come vive ora Futura? Dove sarà Meri Luis?
"E se la vita
non ha sogni io li ho e te li do" cantava Lucio Dalla in 'Piazza Grande'.
Oggi, con questo film, riceve un sentito ringraziamento per quel dono e,
chissà, magari dall'Aldilà in cui credeva può vederlo e commuoversi un po'. Non
era un'operazione facile quella di trasformare lo spettacolo teatrale di
Cristiano Governa in un film vero e proprio (definirlo docu-fiction rischia
infatti di trasformarsi in una limitazione). Grazie anche alla sua
collaborazione, Riccardo Marchesini ci è riuscito senza incertezze.
Alla base c'è l'idea vincente di offrire un 'dopo' a quei
personaggi che Lucio ha fatto esistere nelle sue canzoni. Non sono i 'nomi'
famosi, i Caruso, i Nuvolari a prendere vita sullo schermo e a raccontarci di
sé. La loro esistenza è ormai segnata dalla Storia. Sono Anna e Marco, è Meri
Luis con il tassista e gli altri 'abitanti' della canzone, è l'amico a cui
Lucio scrive in "L'anno che verrà", sono Anna e Marco ora divenuti
adulti, è la Maria amata (forse) da un carcerato come in "La casa in riva
al mare" ma che vive a Comacchio. Siamo in definitiva noi, come il bambino
ora uomo che sentiva il padre tornare al mattino dopo il lavoro notturno
fischiettando l'attacco di "Com'è profondo il mare".
Poteva essere un film chiuso sotto i portici bolognesi
quello di Marchesini. Invece, pur non rinunciando a raccontare la città com'era
e com'è, si apre al mondo così come Lucio era diventato un artista
internazionale. Allora non solo Comacchio o Milano ma Berlino, città oggi
rifugio di tanti giovani che vogliono ancora sperare in una possibilità
'futura' che il nostro Paese spesso nega loro. Conservando però nel percorso
uno sguardo che fonde memoria, poesia e realtà. In La signora della porta accanto
Truffaut fa pronunciare questa battuta: "Le canzoni d'amore sono stupide e
più sono stupide più sono vere".
Lucio Dalla non ha
scritto canzoni stupide e forse neanche canzoni d'amore nel senso corrente
dell'attribuzione ma ha scritto di sicuro molte canzoni 'vere'. In cui, magari
anche solo in un verso, chi le ascoltava o le cantava (e canta) a sua volta
poteva riconoscersi. In quelle parole si trovano fotografie scritte su carta
molto sensibile che dicono di noi. Così come sensibili sono stati tutti coloro
che hanno dato vita a questo film, tanto che alla fine viene da chiedersi in
quale dei versi di Lucio si sia riconosciuta la postina Egle, quella che apre
le lettere con il vapore.
Se è vero che le canzoni del Lucio nazionale da sempre accompagnano i nostri viaggi, le nostre giornate, le nostre vite, dopo aver gustato la proiezione di “Caro Lucio ti scrivo”, si fanno spazio nella mente le immagini della coraggiosa pellicola: indipendente, onesta e realizzata con il cuore.
A raccontare le proprie storie un succedersi di voci illustri: da una partecipe e fresca Ambra Angiolini a Neri Marcorè, abile interprete, eterno bambino della narrazione, come del nostro schermo (piccolo e grande); da Andrea Roncato e Ottavia Piccolo, partecipi e maturi Anna e Marco, a Grazia Verasano; da Piera degli Esposti… mitica Piera, calda e confortante presenza, storica amica del cantautore, secondo la quale lui meritava l’immortalità, ad un accorato Alessandro Benvenuti, protagonista in voce dell’episodio “L’’anno che verrà”, il quale, convinto di essere lui il “Caro amico” a cui è indirizza la canzone, fa il bilancio di una vita, che rispetto alle previsioni di Lucio lo ha lasciato confuso, stordito… e chissà se poi non troverà soluzioni ascoltando a fondo qualche altro brano di Dalla.
E mentre le voci srotolano emozioni di immaginifici personaggi, figli di penna e pentagramma di quel gran poeta che era Lucio Dalla, ecco che quelle vite vengono alla luce, impresse sullo schermo in tutto il vigore del loro effimero esistere, soave e poetico come un ricordo solo immaginato.
Ad interpretare Maria, protagonista dell'episodio ispirato alla bellissima canzone “La casa in riva al mare” è stata chiamata una bravissima attrice torrese, Cristina Casale, con alle spalle anni di studio tra Napoli, Roma, Spagna e Los Angeles, numerose esperienze, dalla prosa alla commedia all’italiana, al teatro di tradizione partenopea, oltre che varie partecipazioni in programmi televisivi Mediaset tra cui Le Iene, Scherzi a parte e nella fiction Rai La squadra.
Abbiamo rivolto qualche domanda a Cristina, in occasione dell’uscita del film.
“È stata un’esperienza meravigliosa. Basti dire che l’episodio “La casa in riva al mare” in cui io interpreto il ruolo di Maria, sarà narrato dalla bravissima Piera degli Esposti, ed è inutile sottolineare quanto questo mi abbia lusingata per l’ammirazione che da anni nutro per questa attrice straordinaria. Anche lavorare con Riccardo Marchesini è stata una bellissima esperienza. Riccardo è un regista generoso, voce sempre pacata sul set, di grande conforto nei momenti difficili tra un ciak e un altro. E ti dirò che anche il luogo, dove è stato girato, Comacchio, mi ha positivamente sorpreso. Credo che sia una città magica. Del resto, molti set sono stati ospitati qui. Antonioni, Pupi Avati solo per citare alcuni dei registi che hanno scelto la città che ha ospitato quelli che oggi sono considerati veri capolavori cinematografici. La stessa Sophia Loren, agli inizi della sua carriera, ha girato un film proprio qui.
E che emozioni ti ha suscitato interpretare il ruolo di Maria?
Maria è un personaggio che ho amato molto e che è paradossalmente opposto a me. La cosa che ci unisce è il senso di speranza, tipico della poetica di Lucio Dalla, che lei riesce a custodire attraverso l’amore per un uomo che non ha mai conosciuto, che vede tutti i giorni e che sembra ricambiare i suoi sentimenti. L’uomo è un carcerato. La mancanza di libertà oggettiva dell’uno e quella simbolica dell’altra, è stata all’origine del mio lavoro sul personaggio, una “gabbia “metaforica nella quale Maria vive, gabbia che non le permette di esprimere se stessa come vorrebbe.
C’è una scena che più di altre hai amato girare?
La bellezza di Maria è nella speranza che in sé custodisce. Non importa l‘esito della vicenda. Maria crede in qualcosa, nell’amore. La scena che ho amato più delle altre è quella girata in un carcere e proprio qui, come talvolta nella vita reale, questa speranza si trasforma in semplice illusione, un vuoto assordante che momentaneamente la disorienta, la distrugge. Ed ecco che ne percepiamo tutto il suo dolore e paradossalmente tutta la sua forza. Un lavoro duro se si pensa che è tutto stato improntato su espressioni, sguardi e pochissimi scambi di battute con il direttore del carcere, il bravo attore Marco Feo, ed è per questo forse che ho amato di più Maria in quel momento, nella difficoltà più forte per interpretarla. Sfida che da sempre anima le mie scelte artistiche motivandomi sempre più verso l’arte recitativa del vero.
Che rapporto avevi ed hai con Lucio Dalla?
Il “napoletano bolognese” più poetico che esista, continua a muoversi dentro di me come da sempre, per sempre.
Lucio Dalla non scriveva per i critici, per i discografici, per la gloria o per la fama. Forse neanche solo per l’arte, che accarezzava con un talento unico, selvaggio, totale ma di cui non era schiavo. Lucio scriveva e cantava per la gente, per le persone normali, per parlar loro e (ri)conoscerli e (ri)conoscersi. Per questo la sua morte, cinque anni fa, è stata lacerante non solo per gli ammiratori ma per un tessuto sociale e umano collettivo che si è sentito defraudato di qualcosa di necessario. Di quel piccolo grande uomo che generosamente sapeva consolarti, guardarti dentro e trovarci anche quello che tu nascondevi a te stesso, eccitarti, divertirti, aprirti gli occhi, squassarti l’anima.
Ecco perché cinque anni dopo fai fatica a ricordarti che non ci sia più, quella musica ancora viva, pulsante ti impedisce di realizzarlo. E allora l’unico modo per fare un film su Dalla era riconoscere quest’inevitabile immortalità, scoprire che da voce è diventato sangue, motore e soprattutto sempre attore delle nostre vite. Lucio ci parla e noi, forse, abbiamo il dovere di rispondergli, è questa l’intuizione di Caro amico ti scrivo, in sala fino all’8 marzo. Ecco perché Riccardo Marchesini, grazie alla sceneggiatura di Cristiano Governa che al cantautore bolognese dedicò lo spettacolo teatral-epistolare omonimo ora divenuto film complementare a quell’esperienza, ci ha regalato un’opera potentissima nella sua apparente semplicità.
Ci sono più canzoni che sul palco – e non c’è Cosa sarà – e il grande schermo regala un’emozione diversa. Non migliore, ma differente, come se l’uno non potesse vivere senza l’altro. L’anno che verrà e la confessione di un prete, Com’è profondo il mare e la vita notturna e innocente di un padre, Futura, cittadina del mondo e figlia rifiutata e scelta, Meri Luis alla ricerca dei suoi inconsapevoli compagni di viaggio, La casa in riva al mare e una storia d’amore che è meravigliosa perché non pretende nulla e sogna troppo, Milano che sembra ancora più Milano dopo anni che l’ha cantata, Anna e Marco che abbiamo sempre voluto sapere che fine avessero fatto. E Stella di Mare, come conclusione di un viaggio che ci trascina, ci abbraccia, ci commuove, con quella voce unica e rampicante, che ti si piazza in mezzo ai cinque sensi e tu sei quasi imbarazzato per quanto ti entra dentro e sembra tua, ma non lo è.
Governa trova le parole, bellissime, di lettere che parlano a Lucio di come si siano (ri)conosciuti grazie a lui, di una postina che si incarica di spiare l’umanissimo genio di un gigante nel corpo di un bambino, bellissimo persino quand’era brutto (che meraviglia la voce, la presenza scenica, il sorriso, il talento discreto di Federica Fabiani), così presente da non aver bisogno neanche di essere intravisto. Marchesini compone le immagini, con le armi della suggestione, della descrizione mai banale, del montaggio emozionale e allo stesso tempo intuitivo (non è un caso che se lo sia tenuto per sé), riuscendo nel miracolo di essere all’altezza di parole impareggiabili, di seguirle, pedinarle, anticiparle e scappare via con loro. Di essere narrativo, di dar corpo a storie eccezionali di persone normali – ma che sono anche il contrario – e di farci capire che come forse solo Fabrizio De André Lucio Dalla ha saputo essere artista tra gli uomini e degli uomini, poeta di esistenze laterali, biografo di se stesso, di una generazione, di un paese e di un viaggio comune in un’Italia che ne ha passate tante che lui ci ha raccontato in tanti piccoli capolavori diversi, ma a volte anche nelle stesse parole di uno solo di essi.
E le lettere, quelle lettere, idea semplice e geniale come quelle alla base dei pezzi del cantautore, sono affidate a grandi attori (Ambra Angiolini, Alessandro Benvenuti, Piera Degli Esposti, Neri Marcoré, Ottavia Piccolo, Andrea Roncato e Grazia Verasani) che non le leggono, ma le animano. Senza virtuosismi, ma come fossero essi stessi strumenti suonati come nella canzoni del nostro “caro amico”, mai con lo stesso ritmo e melodia, sempre come se fosse la prima o forse l’ultima volta. Sono la sua voce, la sua musica, la vita che raccontava, della sua Bologna, del vicino di casa, di una notte, su una panchina, davanti al muro di Berlino.